NIETZSCHE
ANASTASI DI UN MITO
Note editoriali e introduzione alla lettura
Sergio Martella, Il furore di Nietzsche / La nascita dell’eroe e della differenza sessuale, CLEUP, Padova, 2005, pp. 145, € 12.
Nietzsche, eroe tragico e geniale; è un interprete emotivo, quasi femminile, che sovverte i canoni accademici della cultura europea. Pochi personaggi hanno suscitato, al pari di lui, entusiasmi di identificazione tali da originare radicali falsificazioni del suo pensiero. Cultore della laicità dei Greci, nemico del nazionalismo e di ogni razzismo, ostile agli stereotipi tedeschi, ancora oggi è imputato di essere l’ispiratore dell’ideologia nazi-fascista. Egli è il solo, in realtà, che abbia denunciato la profonda mala fede dell’Occidente. La sua follia e la sua morte rispecchiano lo stesso enigma che fu di Amleto.
Sergio Martella (Magione, 1956), psicologo psicoterapeuta, dal 1993 svolge incarichi di insegnamento per l’Università di Padova. È autore di ricerche di
psico-ocnologia. Ha pubblicato il saggio:
Pinocchio eroe anticristiano / Il codice della nascita nei processi di liberazione, Sapere Edizioni, Padova, 2000.
Email: sergio.martella@ordinepsicologiveneto.it
Il testo è corredato da nove tavole a colori del pittore Carlo Adelio
Galimberti.
IL FURORE DI NIETZSCHE.
NOTE DI LETTURA SU MITO, RELIGIONE E TRAGEDIA
È raro il caso che l’indagine della psicologia analitica estenda il metodo di interpretazione oltre i territori del mito e del caso clinico per applicarlo allo studio del paradigma religioso. Eppure non c’è maggior suggestione formativa dell’educazione religiosa. La pedagogia ispirata al credo cristiano occupa una posizione egemone nella trasmissione di valori affettivi e morali nella personalità dei giovani. Trovo auspicabile che la divulgazione scientifica dedichi maggiore attenzione a questo tema, che resterebbe, altrimenti, escluso dallo sguardo dell’indagine, al punto da rasentare il sospetto di rimozione. I contenuti del messaggio pedagogico e morale dovrebbero essere messi al vaglio degli studiosi, senza omissioni o reticenze per il timore di una ingerenza di campo.
Lo studio della personalità e dell’opera di Nietzsche è un esercizio esemplare per approfondire i temi della sensibilità umana di fronte alle premesse formative del destino e alle conseguenze sull’esistenza del soggetto. La filosofia ha posto, infatti, le premesse più significative al sorgere della psicoanalisi. I temi dell’istinto, del femminile, della religione e del destino sono affrontati in questo testo dedicato a Nietzsche e al confronto con la tradizione intellettuale europea. Razionalità e suggestione affettiva concorrono con dinamiche diverse nella determinazione dell’Io, fin dalla più tenera età. L’educazione religiosa incide altrettanto profondamente sullo sviluppo della personalità e del destino. In proporzione al suo ruolo egemone, la chiesa è responsabile del clima di degrado o di civiltà. Il racconto cristiano non è una mera rappresentazione dei moti della pulsione umana nella contraddittoria valenza di aggressività e affetto; non è, quindi, semplice abreazione (ritorno del rimosso nella coscienza); pone, invece, l’apologia del valore del sacrificio come reiterazione del messaggio, in chiave implicita di fede: lo prescrive.
La religione si contrappone di fatto all’indagine della psicologia e della psicoanalisi. Il suo fine è quello di esercitare il controllo suggestivo del credo sulla sfera della sessualità, sulla natura della relazione tra figli e genitori nella fase costituente della personalità del soggetto e nella successiva gestione della proprietà del ruolo di generazione. L’importanza delle dinamiche dell’individuazione è tale da coinvolgere e condizionare ogni ulteriore riuscita del soggetto nelle sue relazioni mature, fino a connotare la forma sociale stessa della civiltà. L’economia degli affetti si lega, infatti, all’intera gamma dell’economia delle relazioni sociali. Il ciclo di sfruttamento economico svela la natura di controllo del conflitto affettivo tra generazioni: il possesso (pos-sesso) è il sesso di incesto che detiene il potere e ritarda o impedisce l’avvicendamento del ruolo sessuale. E’ il labirinto del Minotauro risolto dall’arguzia di Arianna e dell’audacia di Teseo. Nel mito greco l’Eroe (emblema del figlio) riscatta con il coraggio e la lotta il proprio diritto a procreare libero da vincoli di obbedienza verso gli Dei-genitori (Prometeo); in questo modo risolve, per sé e per la specie, il conflitto di generazione. Lo stesso conflitto che, nell’immaginario sociale ed economico moderno, coincide con l’antagonismo tra le classi.
Nella
visione cristiana la liberazione è invece subordinata all’obbedienza
assoluta; si decreta la morte quale condizione del distacco e di rinascita alla
vita; il debito del parto-creazione è preponderante rispetto al diritto
all’autonomia sessuale: innanzitutto nella figlia Maria. La figlia
cristiana è succube del potere egemone della Grande Madre, nell’accezione
junghiana, o della matrigna, la strega della letteratura popolare che, nella
fattispecie di Spirito Santo ingloba vita e sesso della figlia come fosse la
continuazione del proprio. Maria è madre a sua volta, ma del tutto priva del
suo ruolo: non ha un amante, che pure era concesso alla figlia Eva della
tradizione ebraica; l’attributo sessuale è scisso in Maria Maddalena,
meretrice. Al contrario di Eva, che assumeva sul proprio sesso la maledizione di
invidia del creatore-madre con l’invettiva velenosa di doglie e dolore, Maria
resta del tutto esclusa dalla realtà fisiologica della procreazione. Il motivo?
Il potere di partorire in libertà e autonomia renderebbe la giovane donna pari
e superiore all’egemonia della sua stessa madre! Il creatore-madre anticipa,
ingloba e controlla la nascente attraenza della figlia, muta l’attualizzarsi
della generazione in de-generazione. Il frutto del concepimento non
appartiene a Maria: le è negata la proprietà che le spetta per diritto di
ruolo naturale. Non occorre una specifica esperienza clinica per constatare che
il nato non desiderato nasce segnato da un destino di sofferenza e di rifiuto.
Nascere in una stalla o essere abbandonato dinanzi a un cassonetto è la
coerente realtà di chi non è voluto. La figura femminile del Cristo,
sfigurato, affetto da stimmate di sangue (la ferita nel costato, da cui è nata
Eva) rappresenta la sofferenza della stessa madre (alienazione, ingiustizia e
ferita sessuale). Mors tua vita mea, il sacrificio del debole rende
possibile la reiterazione del sistema degenere di controllo sulla generazione.
Il martirio sadico del figlio è l’oggettivazione necessaria per dare corpo e
voce all’infelicità della donna! L’icona mistica del Cristo in croce reca
l’implicita (ma potrebbe essere più esplicita?) asserzione del diritto da
parte del genitore-dio (la trinità familiare) di votare alla sacralità del
martirio (ma-sacro) l’esistenza del figlio. Concepito per essere
ucciso! Il colmo è che si fraintende tutto questo per “amore”. La coppia di
identificazione sado-masochista esercita un perverso fascino sui giovani e sulle
donne di ogni tempo. Ne L’Anticristo, Nietzsche non si fa scrupolo di
demolire la mistica della morte nel figlio cristiano: Fare di Gesù un eroe!
...qui cadrebbe invece a proposito una parola ben diversa, la parola: idiota!
La tragedia nell’opera e nella biografia di Nietzsche aprono ad una consapevolezza inusuale nella generale reticenza dell’intellettualità europea. C’è del marcio nella vecchia Europa: a differenza della grande tradizione del Greci, l’Occidente non ha risolto l’enigma dell’origine fisiologica, familiare e sessuale del potere e dell’ingiustizia.