NOTE DI LETTURA
La questione dell’emancipazione umana non è ancora oggi chiara nelle connessioni tra sviluppo dell’individualità e proprietà del ruolo sessuale. Ogni proprietà
privata deriva la sua genetica di senso umano dal mondo dell’economia degli affetti: dalla
de-privazione del ruolo sessuale nel processo di riproduzione. Così, la
riappropriazione dei mezzi di produzione non può giungere ad una verifica pratica se non si tiene conto della necessaria
appropriazione dei mezzi di riproduzione; ossia la conquista della libertà di ruolo sessuale in ogni generazione. L’oppressione e lo sfruttamento sono prassi del possesso matriarcale (E.
Neumann).
Non è solo uno scherzo del linguaggio declinare l’evidenza che “l’azienda madre controlla e possiede le azioni delle filiali”. Non è neppure un caso che termini come “bene”, “pos-sesso”, “costare”, “caro”, “mancanza”, “diritto”, “pena”, “fallo” e “fallimento”, trovino una potente e invisibile fonte nel contesto familiare degli affetti. Qui risiede il senso di ogni interazione giuridico-economica e sociale.
I processi di individuazione sono stati centrali nella definizione dell’emancipazione dell’individuo e nella sua liberazione nei rapporti sociali. Di contro, le teologie del controllo si sono accanite nel definire i legami di colpa e di appartenenza obbligata al cordone ombelicale della catena di montaggio, della dipendenza al lavoro salariato o della deprivazione di ruolo, nella precarizzazione dei ruoli; sempre con l’intento di espropriare il soggetto dalle competenze di decisionalità e di progetto. La chiesa e il capitale, in questo, condividono responsabilità enormi; non perché traggono profitto della rappresentazione dell’infelicità umana, ma per l’inveterato e sadico bisogno di reiterarla in chiave di perversione pedagogica e prescrittiva.
Il libro fornisce nuovi strumenti di critica al cristianesimo e al cattolicesimo in particolare. La razionalità della critica laica, infatti, sconta una certa ingenuità nel sottovalutare il potere affettivo e inconscio della religione. A parte la dilatazione che il potere fa della chiesa di Roma per scopi politici e di governo, il cristianesimo ha comunque una sua legittimazione potente nella psicologia domestica degli affetti. Le peggiori istanze del pos-sesso, del potere sessuale ed affettivo delle famiglie sui figli, definiscono anche la base della proprietà privata e dello sfruttamento sociale (F. Engels). In primo piano, lo spossessamento delle autonome competenze della giovane donna privata della decisionalità di procreare, di essere al centro di un nuovo regno in sostituzione del potere costituito dalla precedente generazione. L’alienazione della donna avviene ad opera e per virtù dello Spirito Santo, nell’accezione di manzoniana memoria (l’Innominato). Nell’imporre il suo ius di dominio sulla fecondazione della figlia Maria, il matriarcato della chiesa rivendica l’unicità del ruolo creatore e onnipotente dell’unica fattrice (la Grande Madre junghiana), a scapito del naturale svolgersi della generazione. Colei che ha già creato, la Madre, vuole inglobare due esistenze in una, facendo leva sulla fede e sull’amore della figlia. Madre e donna (ma-donna): nell’unione mistica del sacro burka (il velo placentare della verginità); la figlia obbediente rinuncia al suo Io per compiacere il sesso del potere: il D’Io del pos-sesso materno. Ne consegue una altrettanto ovvia de-generazione: il figlio nato in mancanza del padre (l’amante è escluso da ogni competenza sessuale), al di fuori di una esplicita volontà della stessa madre naturale, non può che subire il destino del povero cristo, per antonomasia: la morte precoce e rituale che viene attribuita quale incombenza divina sui non-amati. Mors tua vita mea, il sacrificio di uno rende possibile la reiterazione del sistema degenere di controllo sulla generazione. Il lordo di una tara (l’ingerenza della matrigna sulla figlia) connota il nato con le stimate fatali del rifiuto e dell’incesto. Dalla stalla ai cassonetti dei rifiuti, il paradigma cristiano continua a riprodurre le misere scorie dei figli non voluti, prodotti da donne infelici, menadi peccatrici affette dai misteriosi effetti della depressione “post partum”.
Il colmo della cristianità si raggiunge con l’esaltazione della sofferenza e della malattia quale valore necessario e pianificato. Sola regola: il divieto alla felicità e all’emancipazione. La figura del Cristo, sfigurato, affetto da stimmate di sangue (la ferita nel costato, da cui è nata Eva) finisce con il rappresentare la sofferenza della stessa madre (la condanna all’alienazione, all’ingiustizia e la ferita sessuale). Il martirio sadico del figlio diviene allora l’oggettivazione necessaria per dare corpo e voce all’immaturità affettiva della donna!
Il cristo in croce è l’icona più sconcia e diseducativa che l’umanità abbia prodotto. In particolare per l’implicita (ma potrebbe essere più esplicita di così?) asserzione del diritto da parte del genitore-dio di votare alla sacralità del martirio (ma-sacro) l’esistenza del figlio. Il colmo mistico nella mistificazione si raggiunge quando i cristiani fraintendono tutto questo per “amore”.
È evidente come la coppia di identificazione sado-masochista eserciti un perverso fascino in particolare sui giovani e sulle donne di ogni tempo. Ne L’Anticristo (ed. Adelphi, 2002, p. 38), Nietzsche non si fa scrupolo di demolire l’esaltazione mistica della morte nel figlio cristiano:
Fare di Gesù un eroe!
...qui cadrebbe invece a proposito una parola ben diversa, la parola: idiota!
Dopo i primi tre capitoli di impostazione del tema Nietzsche da un punto di vista socio-culturale e psicologico, nel capitolo 4, Nietzsche e la malattia d’Europa, si definiscono le ascendenze matriarcali e pre-sociali dell’istinto cristiano di smembrare il figlio. Il riferimento più diretto va alle Menadi o Baccanti descritte da Euripide. La critica di Nietzsche all’Europa è sostanzialmente quella di aver tradito lo spirito dell’eroe greco, che rappresenta il figlio che lotta e si emancipa contro gli dei genitori (Prometeo), per l’affermazione del suo ruolo sessuale. L’Occidente ha operato una regressione che pone, invece, il figlio in condizione di perenne sconfitta e subordinazione. Come nel caso di Amleto, non c’è vero riscatto di emancipazione. Tutto finisce in tragedia o nella
follia.
Nel capitolo 5, L’Edipo senza veli, si propone una matura interpretazione dell’edipo freudiano, che vede nell’identità Giocasta-Sfinge la vera natura dell’enigma: come in Amleto è la madre che motiva al parricidio (ma non si può dire!), così nel mito è sempre Giocasta a tirare i fili del destino per ri-congiungersi con il figlio. Il segreto di ogni pos-sesso è il dominio del corpo dell’eterna fattrice (la Grande Madre, anima-animale) sui figli fraintesi come creati! Sebbene alienata nell’individualità e nella relazione sociale, la donna madre dilata la prerogativa di dare origine alla vita, ben oltre le competenze di ruolo (alle quali lei stessa è sottomessa). La mistifica fino all’onnipotenza, a detrimento del naturale svolgersi della generazione; a scapito soprattutto della figlia e della potenzialità di sostituzione. Così accade ancora oggi, in ogni famiglia di ambiente e di cultura cristiana. Da questo effettivo dominio deriva la sua forza il network vaticano.
In Il paesaggio oltre il labirinto, si indaga la natura ambivalente del soggetto, preso tra tensione di autodeterminazione e soggezione al suo codice di con-fusione con l’origine. L’emancipazione e la liberazione laica dell’uomo non possono prescindere dalla definizione dell’ambiguità presente nella natura, anche linguistica, del “soggetto” che è insieme sovrano e sottomesso. Allo stesso modo l’indagine scientifica non deve dimenticare la natura soggettiva di ogni oggettiva ricerca dell’uomo per l’uomo: l’essere fa parte del contesto che egli stesso studia e con il quale instaura un “transfert” non dissimile da quello messo in risalto dal metodo di indagine della psicoanalisi. Il rischio è ancora quello di mutare l’oggettività fisica in metafisica della ricerca.
Il pathos e il furore smentisce il luogo comune di Nietzsche leader spirituale del nazifascismo. Al di là della presenza di ingenuità e contraddizioni nella sua opera, il comportamento e le prese di posizione anche pubbliche in favore degli Ebrei, il fastidio per ogni nazionalismo e l’odio dichiarato contro gli stereotipi della superiorità tedesca, ne fanno un soggetto immune dalle ideologie degli anni successivi alla sua morte. La tesi qui sostenuta e che, anziché parlare di questione ebraica in Europa, sarebbe più corretto considerare la “questione cristiana” e la profonda attitudine distruttiva insita nella sua morale. La storia del cristianesimo è una sequela di mas-sacri e di violenze diretti contro ogni altra identità in quanto diversa. Perfino Jung si lascia sedurre dal “possente fenomeno del nazionalsocialismo” (pp. 88,89 del testo) e pontifica, sulla base della sua ascendenza cristiana, sulla divisione degli istinti per razza.
Nel capitolo si confrontano anche i diversi concetti di religiosità nella tradizione romana (Cicerone), in quella cristiana (Lattanzio) e in quella ebraica. Emerge il conflitto irriducibile tra la tendenza di legare il soggetto a danno della coscienza e la necessità di separare l’intelletto da ogni con-fusione: devozione per i Romani, distinzione per gli Ebrei, sottomissione per i cristiani.
A pagina 100, si enuncia una serie di esplicite affermazioni di Nietzsche che ne provano la grande attualità: conto il cristianesimo, la sua sete di malattia, il masochismo e l’assurdità di un amore feroce contro i figli. Il filosofo non risparmia critiche, profetiche, contro i Tedeschi e il nazionalismo.
Nei capitoli 8, 9 e 10 si introduce una analisi importantissima che riporta al conflitto di generazione, in ogni epoca, tra madre e figlia la vera natura degli ostacoli che si oppongono all’emancipazione umana e alla felicità. La Grande Madre controlla, spossessa e distrugge; la Giovane Dea favorisce il maschile, ispira l’eroe e la comune lotta di emancipazione e di vendetta (Iside, Atena, Arianna, Penelope, Elettra,…). L’ansia di riscatto della giovane donna ispira ogni atto di libera-azione. Nella trasgressione, non mancano, però, gli effetti della colpa. Già nella citazione di apertura, nelle prime pagine del libro, viene fornita la giusta chiave di lettura per comprendere la connessione tra la follia in cui cade l’eroe (in questo caso, Nietzsche come Orlando) e l’ispirazione della musa femminile (dea, i-dea). Dall’Orlando Furioso (I, Canto XX) di Ludovico Ariosto:
Le donne antique hanno mirabil cose
fatto ne l’arme e ne le sacre muse; e di lor opre belle e gloriose
gran lume in tutto il mondo si diffuse.
Aristofane ci ha edotto sulla relazione tra le donne (Lisistrata), il sesso e le armi. Ariosto ascrive alle donne antique la causa efficiente delle arti e delle armi. Eschilo è addirittura surreale nell’attribuire alla donna (Elettra) ogni identità di ispirazione nei confronti dell’uomo che le corrisponde, nella fattispecie, il fratello Oreste:
Elettra: Sì, sì, questo ricciolo è proprio simile…
Corifea: A quali capelli? Questo bramo sapere.
Elettra: Ai miei, proprio ai miei, guarda!
Corifea: Allora sarebbe un’offerta furtiva di Oreste?
Elettra: Sì, certo, è ai suoi riccioli che assomiglia!
(…) Ma ecco un altro indizio, qui, delle orme… simili, anzi uguali alle mie!
(…) Le impronte dei talloni e della pianta, se le confronti, coincidono perfettamente con le mie!
Eschilo, Coefore, vv. 174-210
Le impronte di Elettra identiche a quelle del piede del fratello! Certo, non da un punto di vista anatomico! Ma in un senso molto più vero. La rivolta lunare ispira, da sempre, nella letteratura e ancor più nella realtà dell’inconscio, l’azione dell’uomo. Nella riuscita o nella
tragedia.
Nietzsche come Orlando perde il senno pervaso da una licantropia d’amore e di riscatto che non ha, nelle premesse evolutive, la possibilità di compiersi con un lieto fine. La figura del padre, per lui carente, è altresì la condizione di base per l’emancipazione sociale e dell’individuo.
Si nota infine come, inopinatamente, sia sempre toccato alla giovane donna il destino di depressione, morte e (più di rado) resurrezione nel processo di individuazione sessuale. Vengono citati gli esempi più disparati: Demetra e Core, Andromeda e il mostro marino, Ifigenia, Ofelia, Giulietta; e nelle favole: La Bella Addormentata, Biancaneve nella bara di cristallo…; nel cinema, nel film Parla con lei di Almodóvar, dove la donna in coma ingloba in sé l’amante per tornare in vita.
Il giovane amante è pervaso, in forma proiettiva, dalla necessità di morte, caratteristica della difficoltà della donna figlia di emanciparsi dalla madre e dall’invidia velenosa che si oppone al passaggio di consegne nel potere sessuale di generazione. Solo in quanto femminilizzato, recante cioè le stimmate del sangue mestruale (santo, Cristo o Che Guevara che sia) il divino paredro mette in scena, con la sua morte rituale, il vissuto di morte della giovane donna, affetta da una atavica maledizione di colpa in cui è segregata dalla madre. Tale è la natura del possesso che rende impossibile il distacco di generazione, senza angoscia di morte e reiterazione sanguinaria della sofferenza. Per assurdo, nel martirio si impone l’unica via (crucis) per la vita. Intorno alla trinità cristiana è organizzata l’apologia dell’immaturità affettiva; di conseguenza, della ferocia umana.
Il furore di Nietzsche mira a dare un contributo essenziale all’analisi delle cause che possono portare alla felicità possibile nel percorso di emancipazione o di individuazione dell’uomo e della donna, nella loro diversità sessuale e nella reciproca appartenenza. L’autore si augura, sopra ogni cosa, che lo stesso serva per ridurre finalmente le istanze del cristianesimo, interprete e custode dell’immaturità affettiva alla radice di ogni disumanità dell’Occidente, ad una visibilità tale da inchiodarlo alle pur evidenti responsabilità storiche, etiche e di pervertimento sociale per le quali si può e si deve finalmente imputare. L’oggetto causa di inutile aberrazione non è l’errare umano, che anzi è motore di conoscenza; il diabolico è insito nella sostanza del discorso cristiano, è il valore patognomonico del martirio e della croce, incontestabilmente scolpito nelle scritture.
S. M.