Il
sesso primario e l'incorporazione
Beatrice che rileva il testimone
Per
Collodi all'inizio siamo tutti burattini; in questo non inventa
nulla di nuovo. Di pulcinella, arlecchini, pagliacci, uomini
pretesi da emancipare vi è stata sempre dovizia nella
letteratura italiana, come sul palco del Mangiafuoco.
Egli
intuisce con chiarezza l'elemento fondamentale: è l'amore del
padre che riscatta dall'indifferenziata appartenenza al corpo
unico del matriarcato cristiano (il
pescecane); apre al concetto dell'altro, non come al-di-là
oltre la morte, non come evangelizzazione che ingloba negando la
differenza nell'integrazione, ma come valorizzazione della
differenza, dell'intelligenza, della comprensione della diversità
e vera tolleranza. Valorizzazione soprattutto del primato del
sociale, cioè del luogo esterno alla famiglia. Questo è anche
il modello dell'identificazione sessuale matura, oltre che della
disposizione all’innamoramento nel soggetto maschile.
Il
corpo della donna è, per così dire, il terreno
di battaglia sul quale si gioca il rapporto d’amore tra
padre e figlio. Da qui l’importanza che questo rapporto sia
garantito e non sia di natura violenta o distruttiva. Nel
rispecchiamento dell’Ideale
dell’Io, ciò che inconsciamente innamora l’amante, nei
tratti di una donna, è qualcosa che dà come rimando caratteri
della figura del padre introiettati nella fase del superamento
dell’edipo e del complesso di castrazione.
La
descrizione in un caso letterario di questo processo, tra gli
esempi già trattati, è eclatante nell’esaltazione dell’amor
cortese che Dante riserva all’amata Beatrice: la donna
ideale prende il posto, in ideale sequenza, del padre simbolico,
cioè di Virgilio, che ha accompagnato l’autore nell’inferno
e nel purgatorio della vita. L’amore soltanto, in quanto
fusione mistica ed affettiva, ci conduce alla porta del
paradiso. Il padre ha compiuto la sua funzione, la donna amata
ne rileva il testimone.
È
falso e perverso che l’uomo cerchi nella donna una madre
(questa attribuzione ha solo valore come fantasia in proiezione
della donna sul marito). Possono invece essere attivi, come
disposizione, altri referenti di transfert amoroso derivati per
esempio da fratelli e sorelle.
Dal
punto di vista della spettanza affettiva si può dire che
Pinocchio ha a sua disposizione un potenziale d’amore enorme;
mentre quello sessuale è già evidente nelle premesse del suo
naso.
Anche
nella sessualità femminile l’influenza del padre gioca un
ruolo fondamentale nella possibilità di poter soddisfare il
fondamentale diritto alla felicità sessuale. Tuttavia nella
donna le caratteristiche di base del processo di innamoramento
non possono che essere riferite essenzialmente al fantasma
materno: è questa la misura dell’amore sul quale si sviluppa
l’alternativa del transfert d’amore in fase secondaria.
L’alchimia si realizza non per filtro d’amore, ma a
condizione che il rapporto primario sia stato soddisfatto prima
nel bisogno di dipendenza e quindi sufficientemente ma-turato in
un’opportuna differenziazione!
Tutto
qui l’enigma dell’incapacità di amare nella quale
inciampano tante donne perennemente pre-occupate
della relazione con la mamma. In tal caso il fallimento
è garantito in partenza e non giova in alcun modo attribuirne
la causa al ruolo maschile ed al suo fallo: è condizione della
donna quella di essere attraente,
oppure di non potere attrarre perché i suoi recettori
di legame sono ancora saturi di un’appartenenza originaria
esigente ed esclusiva.
Non
può essere trovato l’uomo
giusto se non c’è lo spazio per accoglierlo.
Né
può esserci conflitto di confronto tra la madre ed il ma-rito
che non si risolva, per disparità di influenza, a favore della
prima. Il regista spagnolo Almodovar,
nel film “Il fiore del
mio segreto” relaziona il mutare del destino professionale
e del conflitto sessuale nella donna all’accettazione ed al
superamento dell’esigente quanto struggente seduzione materna.
In
“Lègami!”,
azzarda la metafora della conquista dell’amore di una donna
come lotta contro la dipendenza di lei dalla droga.
La
droga è appunto allegoria del (pos)sesso della madre.
Ogni
sostanza emosuggestiva
motiva alla dipendenza come effetto del sesso primario. L’incesto
è pos-sesso. Perversione d’affetto incapace di liberare
alla vita ciò che genera da sé (ma che non può generare da se
sola).
La
finzione cinematografica è bene augurante: la storia si risolve
a lieto fine e con ironia. Nell’ambientazione del film
l’iconografia religiosa è intrisa di intensa sessualità. In
una realtà meno passionale l’esito è ben differente.
In
sintesi estrema, e nel gioco esplicativo di parole, è possibile
dire che: l’amore della madre dovrebbe essere così generoso
da consentire alla figlia il legame d’amore con un genero
di genere maschile.
Per
inciso, si provi invece a considerare perché, nella realtà
coniugale tra Giuseppe e Maria, spetti allo spirito santo lo ius
primae noctis e il diritto a fecondare.
La
perversione del possesso
La
presenza del padre e la sua qualità (se non è vissuta nel
ruolo di cancelliere,
in senso reclusivo verso i figli) sono garanzie di emancipazione
nella figlia e inducono lo sviluppo di una sessualità capace di
soddisfacimento. L’erotismo femminile è funzione del ruolo
paterno. Al contrario, se il rapporto è assente o sbarrato
anche la sessualità sarà carente, bloccata dal senso di colpa
o impigliata nell’immaturità omosessuale. Perfino con gli
apporti di un padre autoritario è garantito alla figlia
l’accesso (conflittuale) alla sessualità.
L’esempio
noto nella letteratura italiana è quello della monaca
di Monza, nella vicenda de “I
promessi sposi”, della quale il Manzoni riporta i dati
familiari: ad un padre punitivo ed autoritario, corrisponde un
altrettanto violento e colpevole destino sessuale. Fallisce la
rimozione sessuale. In ogni modo andrebbe ribadito il diritto di
accesso alla felicità sessuale anche per la donna. Ciò che nel
profondo motiva la cosiddetta questione dell’invidia
del pene nel confronto di disparità dei sessi non è
l’opposizione tra il pieno ed il vuoto, ma tra il primato del
parto e quello dell’orgasmo.
Nulla
vieterebbe anche alla donna di sviluppare la capacità alla
soddisfazione erotica che tanta parte ha avuto nello sviluppo
dell’intelligenza e dell’emancipazione della specie, ma è
necessario che anche la bambina possa accedere ad un autonomo
rapporto con la funzione paterna.
La
verità è che il padre è nella condizione di fabbricare un
naso da pinocchio anche alla bambina con il quale la figlia
possa giocare seguendo il filo sottile e tenace del piacere.
Questa
si trova invece a considerare con sgomento la preferenza che la
madre mostra per il sesso del fratello e, nel contempo, subisce
la svalutazione preventiva e interessata della sua sessualità
femminile in formazione.
A
gran parte dei religiosi viene a mancare anche solo il surrogato
di una intesa affettiva con il padre. La centralità materna si
frappone con sbarramenti o distorsioni di influenze
sado-masochiste; ciò inibisce nei figli la capacità edipica
dello sviluppo di una personalità sessualmente, quindi anche
caratterialmente, matura. Il soprannaturale,
se è lecito pensare a qualcosa che possa essere fuori dalla
realtà, sopraggiunge come tentativo di elaborare la sconfitta
sul piano del corpo affettivo, cioè del naturale. Si rimane
catturati nella clausura dell’incesto, con il velo placentare
sulla testa e la minaccia di un eterno tormento se ancora la
carne non esclude ogni fantasia di godimento: disagi e
perversioni sono l’esito umanamente conseguente di questa
esaltazione dello stato di nevrosi.
La
lampada di Prometeo: il genio e il godimento
È
un dato universalmente acquisito, se si esclude la morale
cristiana, che lo sviluppo intellettivo, proprio del soggetto
capace di sublimare quindi di scaricare liberamente l’energia
istintuale, sia funzione fisio-affettiva del cosiddetto carattere
genitale, secondo la nota e valida accezione espressa da
Reich.
È utile ricordare questa importante nozione dell’economia
pulsionale:
Il
primato del genitale porta con sé un altro vantaggio per la
formazione del carattere, a parte quello di sopraffare
l’ambivalenza; la capacità di raggiungere l’orgasmo è una
precondizione per finire fasi di arginatura. Essa offre
l’occasione di una regolazione economica delle energie
istintive.
Al
contrario, i caratteri reattivi, resi rigidi per la difficoltà
a controllare gli impulsi repressi e quindi incapaci sia di
piena soddisfazione, sia di sublimazione, coincidono in gran
parte con i caratteri
pregenitali. Sebbene in realtà ciascuno partecipi ad
entrambi i tipi di carattere, lo sviluppo della capacità di
amare oltre ogni inglobamento distruttivo è funzione del
primato fisio-affettivo dell’orgasmo.
Il
pensiero è sublimazione della sessualità genitale e perché
tale conversione di stato riesca è condizione necessaria che la
sessualità sia vissuta, praticata dal soggetto adolescente,
come da quello in età matura; è infatti impossibile sublimare
qualcosa che non c’è o che viene represso ancor prima che
abbia modo di affermarsi; lo sviluppo della sfera intellettiva
non nega la soddisfazione sessuale, ma se ne giova in
proporzione, perché il processo di conversione è già nella
natura resistente delle cose. Il super-io non disegna
necessariamente modelli punitivi a meno che non vi siano già
debiti in tal senso nei difetti del reale. Le nevrosi da
repressione sessuale strutturano architetture deformi nella
capacità mentale, quindi nelle relazioni affettive; per tale
ragione non è accettabile una definizione della religione quale
sublimazione degli istinti: come si può apprezzare l’effetto
di un processo se si assimila la sua origine alla colpa? Negare
l’accesso alla libera espressione sessuale è garanzia non di
sublimazione, ma di un esito di perversione nella nevrosi.
L’assonanza
fonetica tra coito e cogito
non è una coincidenza ignota allo stesso significato; nel DNA
del linguaggio tale semplice assonanza è traccia coerente, non
arbitraria, di una realtà fisio-affettiva: lo sviluppo del
pensiero si struttura, come per le immagini che provengono dai
fotogrammi di celluloide, dalle motivazioni in proiezione
cinematografica delle pulsioni sessuali, in ultima istanza,
dalla pulsione di morte che spinge
a risolvere l’elaborazione del passato negli sviluppi,
utili alla specie, del carattere genitale, per un’esistenza
ludico-sociale che va anche oltre la semplice riproduzione
animale.
È
il libero uso del corpo sessuale che, nell’atto dello
sfregamento, genera la scintilla dell’onnipotenza del fuoco,
indispensabile all’evoluzione umana.
Il
genio della lampada è l’orgasmo!
Il
godimento attribuisce onnipotenza al suo padrone. Tutta qui la
trovata, l’invenzione che segna il passaggio tra la prassi
corporea del desiderio ed il potere di accedere alla creazione.
La pratica di una economia del desiderio ha illuminato la notte
nel cervello umano, a partire da una compulsione vitale,
sessuale ed erotica, che si oppone all'angoscia del buio e alla
paura della morte.
Prometeo
non fa che sottrarre e svelare ai fratelli mortali ciò che già
fanno tra loro gli dei-genitori.
Prometeo,
al pari di Eva, persegue il progetto di realizzazione sessuale
dei figli; egli pure sarà punito per aver voluto accedere al
senso divino, svelandone la natura umana e materiale, della
genitalità nella creazione.
L’intelligenza
è effetto collaterale del desiderio reso libero dalla semplice
finalità procreativa. Il bisogno e il piacere (della vita in
opposizione alla morte) strutturano
l’idea. L’idea è affettiva, polarizza lo spazio-tempo
relazionale; modella e predispone, in risultanze regolate da
intensità e prevalenza, la forma del reale. Nell’accezione
freudiana il sogno è
desiderio;
nella reiterazione (com)pulsionale
il sogno diviene bi-sogno,
quindi realtà. Da
qui, semplicemente, si spiega il valore predittivo dei sogni.
È
dal pulsionale e-motivo
che scaturisce ogni motivo
dell’essere ed ogni moto
del fare: questo è il dettato fisiologico di ogni creatività
umana.
Come
l’autoerotismo corporeo infantile fornisce la cifra, il resto
nella formulazione di un oggetto, di una consistenza
indispensabile alla strutturazione della psiche del soggetto,
così la conquista del portamento e-retto,
mettendo il desiderio genitale in una posizione più avanzata, o
di pari evidenza, rispetto a quella del naso
nell’incedere deambulante del soggetto, ha sancito il primato
dell’acume genitale sull’olfatto nell’evoluzione della
specie umana. La pulsione del desiderio sopravanza la necessità
del bisogno; il genio ludico guida la soddisfazione del
godimento.
Lo
scarto dall'origine e il fallo magico
La
lunghezza del naso
nella storia di Pinocchio, che varia ad ogni pretesa fallica di
trasgressione, non è che una evidenza segnica di questa fase
del percorso evolutivo verso la condizione umana e sociale. Qui
la bugia è esercizio di quel bisogno di autonomia che si
sottrae al controllo dell’onnipotenza dei genitori e che nel
bambino comporta l’apertura di un luogo interiore in cui
riconoscere l’arbitrio di sé, in modo che il soggetto giunga
a superare il muro del
“sono” nella percezione dell’io stesso. La certezza
dell’io si forma sulla fantasia di un inganno riuscito che
sancisce la distanza dall’origine come differenza del punto di
vista e della possibilità di nascondere, nell’intimo,
qualcosa per sé. Si tratta ancora di realizzare un azzardo come
se mettersi in proprio,
a partire da una primaria dipendenza, debba comunque comportare
una trasgressione e un furto verso l’entità dominante.
La verifica giunge con la certezza di essere creduto (accettato,
capito) ma non del tutto compreso (carpito). Questo azzardo è
il fallo, che, per paradosso, si impone come necessità assoluta
del vero: cioè dell’essere per sé, credibile, differente
dall’altro, sfuggendone il possesso senza per questo essere
negato.
Il
riconoscimento della propria originalità avviene come scarto
dall’origine.
In
questa ricerca della conferma per ciascuno di essere preso in
parola nella relazione, il vero diviene anche logos sociale,
moneta di scambio dell’intelligenza, luogo comune. Ragione
comune nel processo del farsi ragione.
Tuttavia
Pinocchio non sa esimersi, in alcun modo, dall’esprimersi nel
vincolo del vero: il fallo, colto in presunzione, è esibito in
tutta l’estensione della sua impertinenza. Il naso è erettile
come il fallo. Il fallo è la verità che traspare,
l’autentico concreto. Ogni falso è la sua negazione. Il
valore del fallo è per definizione il significato stesso di
valore.
Il
suo effetto pene-trante,
trasgressivo e prodigioso ha il potere di aprire ed attivare i
veli più reconditi della creazione: feconda, precipita
nell’attualità della materia ciò che, nel non-luogo di altre
dimensioni, era ipotesi, vero solo in forma potenziale. La magia
della bacchetta è nelle mani della fata, ma solo la magia del
fallo è in grado di congiungere il se
dell’ipotesi al sé
dell’essere concreto.
Tramite
il fallo il desiderio materializza il pensiero.
Come
nell’assonanza coito-cogito,
anche nella parola pensiero
(pene e
siero) il significante veicola, in modo inopinato, il senso
evolutivo del suo significato di secreto
fallico, cioè del seme
come sapienza.
Inorridiscano
pure gli esegeti dell’etimologia: il sapere della vita, come
la verità, appartiene
anche agli idioti
(sulla retta del desiderio tra il dito
e la luna…, il dito
vorrà pur dire qualcosa!). Se nel delirio dello schizofrenico
l’onirico irrompe nel linguaggio, l’idioma
spiega comunque nei fonemi l’intera gamma della tavola degli
elementi fisici primari in un modo che non è corretto, non è
colto e non è educato al velo della decenza. Tuttavia può
essere compresso,
trasmesso e fra-inteso; per equivoco, può essere anche tradotto
(che è passato
transitivo di tra-dire,
dire tra le righe), compreso
e interpretato.
L’equi-voco
in questione è pari
vocazione, isopatia,
sola condizione che permette la conservazione della coincidenza
del significato tra emittente e ricevente del messaggio in
sintonia sulla medesima frequenza dell’ascolto. Così la
pulsione sessuale scrive sul supporto fisico della materia le
effimere storie dell’essere nel linguaggio semantico del luogo
comune. Il parlessere
è l’umano. Il linguaggio è l’inconscio, secondo Lacan. Ma
il vento suona in modo differente, per ciascuna conformazione, i
suoi strumenti a fiato.
La
differenza anatomica nella donna pone la questione di un diverso
modo di pensare. Otto Fenichel
concorda con Freud nel mettere in evidenza come il carattere
passivo della sessualità femminile sia
…più
strettamente connesso agli scopi originali di
incorporazione di quanto lo sia l’attiva sessualità maschile.
Dunque la sessualità passiva ha tratti più arcaici di quella
attiva. È più proprio delle donne l’essere amata che
l’amare. Il bisogno narcisistico e la dipendenza
dall’oggetto sono maggiori.
A
maggior ragione la sessualità femminile dovrebbe poter accedere
ad una condizione di soddisfazione ben oltre la mera funzionalità
riproduttiva. Accedere alla sfera della soddisfazione sessuale
è condizione necessaria per superare i tratti reattivi del
carattere che predispongono a compulsioni sadiche o autolesive.
Il tema dell’ingiustizia sessuale, caro all’indagine del
femminismo, non si risolve e non si rappresenta nel confronto
con il maschio, ma nel completo e soddisfacente sviluppo della
differenza sessuale di ruolo tra la figlia e la madre. È
l’indifferenziato che può creare immaturità, con-fusione e
ripulsa; là dove la differenza fisiologica è data non può che
esserci attrazione.
L’effetto
differenziante ad opera del soggetto affettivo maschile è
insostituibile e qualificante nel processo emancipatorio e di
liberazione della figlia. Così accade nella realtà là dove la
figura paterna è presente ed è valida. Ciascuno può fare una
verifica in questo senso a partire dalla personale casistica di
esempi.
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