Dal
matriarcato alla civiltà sociale
Epica
della differenza sessuale
Il
cambiamento, o la sua negazione, trova il punto
di forza sul destino dei figli. Sempre il
matriarcato ha negato il tempo con la sua malia;
ha volutamente confuso la
spada con la roccia nell’indifferenza
sessuale, finché un burattino (fatto dal padre)
o la forza di un bambino (formatosi agli
insegnamenti dello stregone) non hanno
ristabilito, ogni volta, la legge della
differenza, dell’emancipazione e della
giustizia nel sociale.
Tutto
ciò è già successo, al di là di ogni
coscienza, anche a vantaggio dei soggetti
cristiani. Si tratta ancora di riconoscere
diffusamente e superare il debito crudele
stipulato sopra i figli.
Se
la figlia è scissa nell'alienazione tra corpo e
appartenenza alla madre, il figlio maschio può
apparire privilegiato, vezzeggiato dalla madre e
invidiato dalla sorella; in realtà non esiste
di per se stesso ma solo come fallo esibito
dalla madre. Solo finché sarà il fallo
riparatore della mancanza materna avrà diritto
ad ogni sfrontatezza, il suo narcisismo è
perfino irritante. Ma cosa accade a chi voglia
varcare le colonne
d'Ercole del libero arbitrio, verso
l'autonomia affettiva? Se l'eterno ragazzo vuol
accedere alla consapevolezza, all'autonomia e
alla libertà? Disgrazia, passione e
crocifissione. Morte per sangue. Cristo o Che
Guevara, purché muoia; una rabbia emorragica
gli presenta il conto del debito del parto, la
sua autonomia non esiste perché viziata
all'origine da un debito di sangue.
L'agnello
non può difendersi dicendo che quell'offesa non
l'ha fatta lui, che lui è venuto dopo, non per
scelta, il lupo insiste: "Mi
sporchi l'acqua". E lo sbrana.
L’agnello è l’equivalente del figlio,
mentre il pelo del lupo è di lana caprina: la
ferocia delle fauci è l’istintiva aggressività
della grande madre, la scena dell’acqua sporca
e dell’agnello è quella del parto.
Un
evento non voluto che trova il suo oggetto di
rifiuto nel prodotto, anche se le ragioni vere
di tanta aggressività sono a monte, nel difetto
d’origine dell’incesto irrisolto. Chi genera
senza disposizione d’amore getta via in
un’unica soluzione l’acqua sporca e ciò che
ha creato.
È
necessario morire o uccidere per superare
l'appartenenza primaria? L'emancipazione è
rimandata alla resurrezione; l'identificazione
di ruolo con il padre resta senza corpo e senza
luogo (in
cielo, alla
destra del padre). Il matriarcato cristiano
garantisce così, sull'infelicità dei figli, la
sua riproduzione. Fuori da ogni legge e da ogni
controllo del razionale, tale è la pretesa
anche di fronte ad ogni logica di consapevole
ricostruzione.
Oggi
i figli non possono dire di non sapere, a questo
serve l'educazione cristiana: pur senza essere
religione di Stato il simbolo cattolico fa bella
mostra di sé sulla parete della scuola. Non
avete capito? Capirete! E, soprattutto,
l'importante è credere, non sapere.
La
guerra dei fratelli non-nati
Il precetto cristiano
è sadico nella prescrizione al sacrificio ed è
masochista nell'atto della sua identificazione.
È rappresentazione dell'incapacità di amare,
è un modello affettivo immaturo, retaggio
ancora troppo attuale dell'antico matriarcato
primitivo, basato sulla proprietà dei corpi e
delle menti dei figli come appartenenza mai in
grado di risolversi in una vera emancipazione
sociale. Ciò comporta come inevitabile esito
l'infelicità e il fallimento del progetto di
vita dei figli e dell'intero agire sociale.
Di
contro, la conoscenza è uno stupro, è una
lacerazione alla placenta del credo religioso.
Il sapere religioso si propone non come
s-velamento, ma come ri-velazione; in realtà è
resistenza e paziente rattoppo degli strappi. È
affermazione del primato del velo
sul vero. Periodicamente sa essere anche
inaudita ferocia: quando interpreta il ruolo di belva
umana, per ricucire, con il filo spinato,
gli strappi della storia. Ne ha fatto le spese,
insieme ad ogni umana dignità, la cultura di
origine ebraica per aver regalato all'Europa
cristiana spunti di straordinaria civiltà.
Il
cantautore Fabrizio De Andrè raccomanda: "non
regalate terre promesse a chi non le mantiene".
La storia mostra che la verità comporta una
violenta reazione del boia velato; la bestia
sembra mansueta ed assopita finché non si svela
alla coscienza che il sacro e il sanguinario
sono due facce della stessa morale.
Franco
Fornari ha già indicato nell’eros
materno il movente per gli esseri umani di
distruttività della guerra.
In Psicanalisi
della situazione atomica individua
nell’oggetto dell’odio che motiva la guerra
gli stessi referenti d’amore, in chiave
proiettiva, delle relazioni familiari. Egli si
ricollega alla tesi di A. Rascovsky e di Gaston
Bouthoul, per i quali la guerra sarebbe
l’espressione del figlicidio, di un
infanticidio dilazionato, che realizzerebbe una
fantasia di controllo socio-demografico, quasi
un aborto differito, la cui responsabilità
ricadrebbe sulla distruttività del padre (Erodoto
affermava che in tempo di guerra i padri
seppelliscono i figli mentre in tempo di pace i
figli seppelliscono i padri).
L’attribuzione della fonte della violenza
sarebbe dunque rivolta ad un solo genitore.
Fornari sposta invece la
colpa della distruttività sulle fantasie
fratricide del figlio:
Poiché
gli abitanti contenuti in uno stesso territorio
sono tutti fratelli figli di una stessa madre
(vedi l’inno nazionale italiano ‘Fratelli
d’Italia…’ e l’inno nazionale francese
‘Allons enfants de la patrie…’), il fatto
di essere in continua posizione di diffidenza
verso i nemici si collegherebbe pertanto al
fatto che i nemici sono i fratelli uccisi dai
quali ci si sente perseguitati (…).
Come
ho già rilevato, tali impulsi distruttivi e
tali sentimenti di colpa persecutivi non sono
solo rivolti verso i bambini-fratelli-non nati,
ma anche verso la madre e il padre da parte dei
bambini e verso i figli da parte dei genitori.
In
questo senso il meccanismo di proiezione
servirebbe a nascondere l’odio verso le
persone che amiamo, mettendolo nel nemico. In
realtà questa architettura interpretativa della
proiezione paranoide dei conflitti inconsci
familiari risente ancora fortemente del senso di
colpa autolesionista che la pedagogia cristiana
inculca nel bambino fin dal rito del battezzo.
Come può il bambino inconscio che risiede in
ciascun adulto odiare la madre? Ogni struttura
di percezione esistenziale è derivata da
esperienze interne ed esterne di relazione con
la madre, in che modo potrebbe sviluppare autonomamente
distruttività verso se stesso e verso il corpo
creante? Ciò può accadere solo per
introiezione di percezioni distruttive che
provengono dalla madre stessa! Sembra proibito
tuttavia prenderne atto perché non va svelata
la distruttività che fa da contrappunto alla
sacralità nell’entità creante e divina.
Il
rispetto è atto riflesso
Sebbene
il figlio sia e sia stato indotto ad assumersi
la colpa di ogni rovina, non si è ancora visto,
in età anagrafica, un bambino che butti nel
cassonetto dei rifiuti il proprio genitore
(altra cosa è la disposizione dell’adulto
verso l’anziano).
Siamo
ancora all’inganno proiettivo e speculare
dell’agnello che sporcherebbe le acque al
lupo. Egli è nato dopo e, in qualche modo,
sarebbe responsabile della rottura o della
sozzura (per fantasie di incesto) delle acque
del parto nel corpo della madre! Questo dettato
fisiologico è antico ed è sostantizzato nel
paradigma del sado-masochismo cristiano: il
figlio è la colpa e pertanto va ammonito. Onora
il padre e la madre; il senso ribalta ogni
verso dinamico della pedagogia; non è forse il
generante il modello di identità ed
identificazione?
Il
rispetto nel figlio non è atto dovuto, ma
sentimento riflesso!
Solo
parzialmente Fornari ammette che può esserci
odio verso
i figli da parte dei genitori. Il ruolo
della madre in particolare è visto come quello
al cui cospetto trova motivo la guerra, tuttavia
il muovere alla distruzione sembra il frutto di
un impazzimento
di tutte le cellule del corpo famigliare.
Manca nell’autore, che
è deceduto per tumore, la piena coscienza
del fatto che la madre, oltre ad essere soggetto
motivante, ha responsabilità diretta di
mandante e committente del massacro.
È
egli stesso il bambino-fratello-non
nato, definizione che attribuisce allo
statuto di soldato, che si batte contro i nemici
fratelli per guadagnare il vitale e indispensato
favore della patria madre. Questa prerogativa di
dispensare o di negare il riconoscimento alla
vita, o di mettere gli uni contro gli altri per
ottenerlo, è esattamente l’espressione della
ginocrazia del corpo generante. La dispensa
materna è indispensabile
alla vita. È la benedizione o la sventura; è
nutrimento del destino; tale è il ruolo divino
della madre. Questa è anche l’arma che essa
usa, sull’intero creato, come registro del
controllo. La crisi è la forma in cui la corda
della dipendenza è imposta come non-scelta
obbligata: necessità, affezione, guerra e
malattia. Attraverso la crisi l’entità
creante trascina l’intensità del travaglio
della gestazione nella gestione del conflitto ai
fini del possesso continuato sul reale, a costo
anche dell’annegamento generale. La punizione
divina che si fonda nel substrato affettivo è
il vero grande fallo della madre, il suo potere
è di ridurre gli esseri a strumenti della sua
glori-ficazione.
Guerra
e cancro. La bomba anatomica
La
verità è semplice e tremenda, segue i solchi
già tracciati dalle dinamiche fisiologiche e
naturali. Le architetture razionali spesso hanno
il solo scopo di coprire l’intollerabile realtà
della sofferenza per il rifiuto d’amore. Così
è in Fornari, dove la sua situazione
atomica è in realtà deflagrazione
anatomica del cancro. Tale malattia è un
destino precoce nei non-nati
per rifiuto o mancanza di riconoscimento del
bambino da parte della madre: tumorati
di dio per difetto narcisistico. La società
dell’egoismo, dell’insensibilità,
dell’indifferenza narcisista produce tumori:
la patogenesi del cancro diventa struttura
contingente nel processo di sviluppo
indifferenziato nel corpo dei suoi figli
prodotti in difetto di amore e di
riconoscimento. Ad ogni eccesso di legame
narcisista non può che corrispondere un
prodotto di rifiuto, così, una madre
indifferenziata socialmente, ma egocentrica nei
tratti del carattere non può che produrre una
qualità di rapporto oggettivato e non
comprensivo verso il proprio figlio, il quale nasce
nel limbo dell’incerto, del rifiuto e
dell’indifferenziato, senza ricevere
sufficiente materiale affettivo per costruire
una solida struttura delle fondamenta.
Nel
soggetto adulto l’aggressività che deriva
dall’essere (stati) rifiutati non può
accedere facilmente alla coscienza del soggetto,
egli tende comunque ad accusarsi degli
insuccessi funzionali e ad assolvere la madre:
lo smacco narcisistico è già una ferita
irreparabile negli effetti, per qualità e
spettanza di vita; se ci fosse ammissione del
rifiuto, della negazione, dell’insensibilita,
della disidentità per mancanza d’amore, il
soggetto si troverebbe di fronte al baratro del
nulla, alla voragine dell’io e alla propria
assenza. Ciò è intollerabile. È impossibile
pensare il nulla perché il nulla è già la
morte.
L’aggressività
verso la madre che ci rifiuta non può che
volgersi, come autodistruzione, in rivolta
citologica. Odio di tutti contro tutti nel
proprio corpo-famiglia-patria: contro il
fratello, contro il padre e, per collasso,
contro se stesso-madre. La rivolta che avesse
come oggetto la madre, in quanto identità, non
può che essere innanzitutto contro il sé del
soma. Ma-lato
è il lato materno di ogni regressione; nel
singolo, come nel plurale della storia. Ancora
una volta non si tratta solo di un gioco di
fonemi, ma di una constatazione clinica rilevata
infinite volte; in proposito, osserva Naouri:
Questo
tutte le madri lo sanno e fanno di
quest'ingombrante conoscenza della morte che
hanno il potere di donare insieme alla vita il
pretesto della loro follia a cui, per quanto
facciano o vogliano, non potranno sottrarsi mai
più.
Del
resto, è proprio questa follia che, senza che
lei se ne accorga, incita la madre a fuggire la
realtà e a salvaguardare meticolosamente
l'illusione che suo figlio non sia mai uscito da
lei.
La
parola latina incestus
significa "non mancante", e a torto il
senso di perdita è stato riferito alla
castrazione edipica del figlio: egli percepisce
come propria questa mancanza ma solo in quanto
la condivide, nell'unico sentire esistenziale,
in simbiosi con la madre. È la madre che non
vuole perdere il fallo-bambino, pertanto,
preferisce ritenerlo nel limbo del non-nato,
fino all'estremo di una morte cristiana.
Oppure, se proprio se ne deve distaccare,
che la castrazione diventi allora di natura
sessuale, in modo che la simbiosi permanga nella
comune condivisione di una elisione del fallo,
nell'impotenza della femminilizzazione maschile.
Ed ecco il figlio prete oppure omosessuale. Solo
nell'accezione più sana, la maturità affettiva
della madre, che in questo caso non è solo tale
ma anche una donna che coltiva interessi propri
affettivi e sociali, può tollerare la perdita
depressiva del figlio, verso il quale conserva
la competenza affettiva di ruolo, ma non la
perniciosa influenza infettiva del possesso.
Recita
così la dedica in apertura al già citato libro
Psicanalisi
della situazione atomica di Fornari:
A
mia madre che ha dato definitivamente
significato di bene e di male a tutta la mia
vita.
A
Fornari, che è morto di tumore cercando nei
suoi scritti le ragioni della vita e del
malessere suo e del tempo, dedichiamo le parole
di Fabrizio De André anch’egli scomparso
vittima di un simile destino di rigetto:
Il
mio Pinocchio fragile
prodotto
artigianale
di
ordigni costruiti
su
scala industriale
di
me non farà mai
un
cavaliere del lavoro;
io
son di un’altra razza:
son
bombarolo!
La
bomba anatomica è il bambino. La pulsione
sessuale è chiaramente espressa nell’intento
distruttivo; chi conosce la storia nell’album
musicale, sa infatti dell’esito autolesivo. Il
Pinocchio figlio in gestazione è il tumore (tu
muore): è l’Altro (il tu)
che muore in ciascuno come spettanza di vita
negata attraverso la qualità di una relazione
primaria mancata. Il fantoccio è la caricatura
dell’io corporeo che non si è potuto formare.
Per Fornari il pacifismo, per De Andrè la
protesta trovano l’effetto dell’impegno e
della denuncia civile nell’implosione.
L’identità
guerra-cancro, che si conferma quale destino di
implosione distruttiva nel discorso evolutivo
dei non-nati, è la denuncia civile e accorata
di Oriana Fallaci. Giornalista, celebre
testimone della guerra nel Vietnam, Oriana
Fallaci è sedotta dall’enigma della guerra,
finché anche lei si ritrova protagonista
dell’esperienza della malattia tumorale e
affida ad un libro l’analisi del suo dramma
esistenziale; il titolo è di grande sintesi
espressiva: Lettera
a un bambino mai nato. L’autrice non ne è
consapevole, va da sé che il riferimento è
autobiografico.
Le
fantasie di rinascita sono espressioni
ricorrenti nelle persone che convivono con il
tumore, proprio perché alla base della rivolta
implosiva c’è un difetto di strutturazione
delle fondamenta del proprio narcisismo,
conseguenza di un debito di riconoscimento
affettivo mai soddisfatto con la madre.
L’autore di Affetti
e cancro è anche l’acuto estensore del Codice
vivente, saggio nel quale Fornari raccoglie,
interpreta e svolge i sogni delle donne in
gravidanza, cercando di favorire con la
maieutica della lingua e con lo studio del
fonemi la nascita del bambino tutto intero,
contro ogni rischio vitale di ritenzione che
apre allo statuto doloroso dei non-nati. La
fantasia di rinascita tende a reiterare
l'anelito di un debutto alla vita che non è mai
stato celebrato, meno che mai all'atto del
parto, perché la valenza attribuita al figlio
dalla madre era quella di non desiderato. Il limbo
esiste davvero; qui, tra i nati sfortunati.
Oltre
l'omertà dell'ombra, il gallo canta ancora
Nella
guerra come nella malattia, nel singolo come nel
sociale, l’autodistruzione è il destino
riservato ai non-nati (nonna-ti)
dell’incesto. Il processo è divino perché
non c’è evidenza di causa nella
macchinazione. Ex
machina deus; nella passione, crocifissione
e morte di Cristo, il figlio è apparentemente solo
nel destino di un disegno divino di cui è,
insieme, il mezzo e il fine prediletto.
I tributi di sangue sull’altare del diritto
primario sono un rito ancora attuale; è prassi
incontrastata, indotta, resa ideologia santa e
rivendicata dalla teologia del sacrificio umano;
la stessa che volutamente confonde i bisogni di
giustizia nella carità e impone a tutti, come
colpa, la suggestione della madre
dolorosa delle piaghe.
Dal
punto di vista del dominio, invece, la negazione
ad opera della divinità creante materializza la
funzione di controllo sul reale. Il tempo eterno
(nell’illusione dell’immobilità
generazionale dei ruoli) dilata la propria
esistenza come estensione a scapito dei figli e
delle figlie. L’eternità
(ex ter), è l’unica forma concessa di sortita
dal logos del tre
famigliare, premio post mortem alla credulità,
frode di un risarcimento che mai sarà riscosso,
moneta falsa di scambio per esigere lo
spossessamento reale della vita. L'internità
continuata nel grembo della madre terra,
nell’intero
arco tra la nascita e la morte, è la pretesa di
inglobare, nell’implicito del distacco non
avvenuto, ogni riuscita nella vita di ciascuno.
A ciò si oppone lo stress
della pulsione sessuale che interrompe
la continuità del possesso, per aprire alla
libertà dell’esterno,
contro ogni tributo
(debito di appartenenza dovuto) e contro ogni
minaccia di sterminio
(dominio del volere uno-e-trino).
È
strepitoso
come il linguaggio (in)canti! Come il gallo di
Pietro, la lingua canta per tra-dire,
nella pendenza di una minaccia di passione e
morte che incombe sopra i creati figli di dio,
che c’è uno spartiacque tra chi ha il
coraggio, l’ardire di ammettere di riconoscere
la verità e chi invece, piegato per paura, nega
(tre volte) di volerne sapere, confuso e
arruolato nella setta di fede. Il credo è
minaccia contro ogni sapere; ma il gallo canta
ancora, anche oltre le tre volte del rito di
cancellazione.
Là
dove la fratellanza rivoluzionaria creerebbe
azione sessuale nel rivolgimento generazionale,
guerra e malattia seminano invece l’odio tra
fratelli. La grande madre disperde le intese e
le riduce in corto circuito di affiliazioni
settarie in conflitto. Il cerchio si chiude per
negare l’autonomia del divenire. Così
l’universalità del diluvio, del massacro e
dello sterminio giunge, con ira divina, quando
la misura è colma, a resettare
il mondo.
Il
delirio biblico registra l'evento esemplare del
salvataggio di una coppia di individui per sorta
nel registro genetico delle specie, in modo che
l'intero creato faccia atto di sottomissione con
il ritorno all'unica famiglia, nel seno della
grande arca madre (è questo il matriarcato).
L’evento sanguinario si ripropone nelle fasi
cruciali in cui ripartorire
il mondo rappresenta la realizzazione del
fantasma di possesso e di controllo sui corpi e
sulle menti. L’apocalisse è avvertimento,
rivelazione sul fatto che la morte (per guerra,
catastrofe o malattia) è la purga che esorcizza
il cambiamento come evoluzione, autonomia e
distacco di maturazione.
Massacro.
Il sacro codice
di guerra
Tanto
più veemente è la distruzione quanto più
grande è la possibilità temuta o reale che il
mondo, inteso come insieme dei creati, si
emancipi nella libertà e nell’indipendenza
dei soggetti, nel superamento della ginocrazia
materna. Il figlio-bambino è posseduto dalla
madre; il figlio-adulto deve essere sottomesso
al dominio del suo prolungamento nella
suggestione di dio. Scrive Bonvecchio:
Ignorare
l’Ombra della guerra non è dissimile
dall’ignorare l’inconscio. Se la si
misconosce o la si rimuove, essa erompe con la
forza inusitata e squassante di un vulcano per
lungo tempo inattivo.
(…)
Senza dubbio si manifesta con la stessa feroce
aggressività con cui la Madre Terribile
desidera riappropriarsi o vendicare un figlio
perduto, a costo di seminare, attorno a sé,
desolazione e morte.
Quindi
cita Neumann
a proposito dell’immagine archetipica della
Grande Madre:
…malattia,
fame e bisogno, ma innanzitutto la guerra sono i
suoi alleati.
La
perdita del figlio, o meglio, del godimento del
suo usufrutto, è per la madre perdita del ruolo
onnipotente che le deriva dalla fantasia che
l’attitudine a procreare sia diritto di
possesso sull’intero dominio del reale in
quanto creato.
Al figlio non spetta la proprietà di ruolo che
è strutturale nel suo essere biologico e
affettivo: la madre conserva il valore d’uso
su ciò che ha partorito. Pertanto l’essere
del figlio è gravato dall’ipoteca dello
spossessamento (elisione del ruolo sessuale). Il
rapporto di usura trascina alla crisi (nel
rapporto di schiavitù, è l’utero che usa,
non il pene). Il prezzo del riscatto di un tale
stato di sequestro non può che essere stimato
pari alla vita stessa: inestimabile è il debito
verso l’esattore
divino e creatore.
Nella
fasi della storia in cui la tecnologia dei
processi umani o (come nella fase attuale a
cavallo di un millennio) i riti epocali di
cambiamento, pongono l’incognita emergente di
un avanzamento possibile e necessario
all’emancipazione, allora la grande madre
rimarca col sangue il primato del possesso sul
reale, così la sua natura animale delinea i
confini del suo
territorio.
Su
questo modello la teologia militare di ogni
tempo, impone lo statuto belligerante di Nato
su tutto il genere umano, come farebbe lo
spirito santo sul figlio creato; l’imposizione
della teologia del nato
soffoca nel sangue, come blasfema e
improponibile ogni pretesa di autonomia, di
sovranità e di libertà.
Dice
la minaccia: tirare
troppo la corda fa sì che questa si spezzi…,
come la pazienza! La pretesa di libertà che
tende il cordone della dipendenza genera una
quantità di pulsione opposta e contraria sotto
forma di ingiunzione. Quando non basta il
sacrificio esemplare del predestinato, giunge la
guerra a fare da cancellazione,
travaglio e prigione. La forclusione
dell’Altro nel reale inaugura la compulsione
violenta di una psicosi possessiva, reificando
la complessità a due categorie: il monolitico e
il nemico.
Non
c’è nulla di creativo in questo atto di
riappropriazione tribale: è processo di
negazione del nuovo, dell’esistente e della
vita nella forma più eclatante della ferocia.
Si rappresenta sul registro della carne e
rifugge da ogni elaborazione sui piani di
rappresentazione della coscienza o della legge.
In questo senso è ma-s-sacro.
Inno
alla sacralità materna, tentativo di confutare
il ciclo biologico come evoluzione:
l’alternanza ciclica di pace, guerra e sagra
del possesso è opposta al divenire del tempo,
nell’illusione di far quadrare la spirale
dell’essere nel cerchio urobico dell’incesto
famigliare.
La
città incinta
Il
matriarcato delle religioni (tutte le religioni)
si è sentito sommamente minacciato,
nell’essenza più estrema, quando il movimento
politico dei produttori di ricchezza (il
movimento operaio in modo cosciente,
ma anche lo stesso capitale, sia pure in
forma alienata, per necessità produttiva e di
mercato) è giunto a dichiarare apertamente
l’intenzione di ricomporre l’aggregazione di
appartenenza sociale solo intorno alla
condizione di classe su scala internazionale,
superando come principio nella dispersione
solidaristica, o nella libera circolazione di
uomini e merci, ogni mera identità di razza e
di nazione. Il maschile tende spontaneamente a
riprodurre una dinamica del ricambio e della
circolazione.
Questo
almeno è ciò che accade in epoca recente nella
misura in cui la socializzazione dei mezzi di
comunicazione e delle tecnologie (non ancora
della proprietà dei mezzi di produzione) impone
al dominio di riadeguare i suoi strumenti, anche
nel tentativo di esorcizzare l’ormai avvenuta
acquisizione sul piano della consapevolezza
scientifica della natura di economia sessuale (e
non solo sociologica) di questi meccanismi
propri della distruttività animale.
Nel
passato invece la guerra svolgeva una diversa
funzione sessuale e demografica, risolvendo con
la forza dello stupro la stagnazione
dell’incesto entro le mura dei luoghi comuni.
Si trattava, come per Troia, di mettere in-cinta
una città, magari consenziente dopo anni ed
anni di isolamento ad introdurre, in buona fede,
il cavallo fecondo di guerrieri tra i battenti
delle porte di accesso, fino nel grembo
fortificato. Giocare nel sangue era come
risolvere con la forza ciò che, per legame di
appartenenza, non si attuava per ratto
d’amore.
Finché
fu triste, Troia si difese con le armi. Ma nel
momento in cui si rallegrò, aprì le sue porte
al cavallo pieno di guerrieri nemici.
Del
resto le mura sono il monumento visibile della
sessualità e della quantità della resistenza
opponibile. Epopea cavalleresca ed ars
amatoria. Il nesso è colto da Ovidio
Nasone. Il ricambio e l’uscita dalla forza di
legame del clan famigliare poteva avvenire solo
nella veste di una spoglia
di guerra. Gorgianamente la violenza risolveva
il nodo del consenso. Il destino delle città
seguiva quello del corpo della donna.
Per
secoli, nella storia delle armi, aprire con la
spada una ferita di sangue nel corpo del nemico
era il prezzo ritenuto necessario per rendere
accettabile la ferita sessuale nella donna, e
per conquistarla in duello. L’oggetto passivo
della contesa era dunque anche il soggetto
motivante, nel fine e nella forma, di ogni trama
dell’azione. Se ciò risultasse senza alcun
dubbio vero, ci sarebbe ancora da chiedersi, con
Fornari, quale insofferenza anatomica
abbia portato il conflitto odierno alla soglia
della distruzione atomica.
L’umanità
intera deve ancora affrancarsi dal debito verso
le conseguenze dell’atto di dolore intrinseco
nel parto. Il debito di sofferenza genera
violenza fino a tramutare in rituale dell’odio
anche l’amore. Il trauma fisiologico, che
colora di aggressività l’affermarsi della
differenza sessuale, motiva la violenza
pulsionale della spada. In questa misura la
guerra e l’odio riempiono il posto contiguo
dell’amore. Si tratta in coscienza di
rinunciare al pathos
della guerra attraverso l’emancipazione. Per
Marx,
è l'amore che
…per
primo insegna veramente all'uomo a credere nel
mondo oggettivo fuori di lui.
Quanto
sarebbe più semplice, e l’umanità intera
sarebbe più capace di amare, se consapevolmente
ci si adoperasse per ridurre il trauma della
nascita e si ponessero in atto misure adeguate
per favorire l’emancipazione precoce e
protetta dei figli sottraendoli non alla
responsabilità e all’amore, ma alla violenza
del possesso privato delle madri!
È
maturo anche il momento di restituire, una volta
per sempre, la pretesa invisibilità dell'entità
che agisce in veste del ruolo divino (e del suo
smodato imperversare) alla responsabilità
esatta della natura umana del suo sesso. Credere
non può più costituire l'alibi per non voler
sapere o vedere ciò che si commette.
Apologia
del matricidio
Quello
che deve essere messo in discussione non è il
potere dell’immanenza creante che è reso
legittimo dall’oggettiva natura
fisio-affettiva, ma il suo uso criminale
sostenuto e perseguito dalle teologie dominanti.
Non si tratta infatti di correggere la natura
(solo chi odia inconsciamente la madre odia
anche la natura, mentre si schierano nella
politica di una sua difesa aggressiva i soggetti
che, nel mascheramento controfobico, non possono
riconoscere in se stessi tale odio); si tratta
invece di comprenderla e di saperla amare nel
rispetto delle differenze delle diversità
biologiche, riconoscendo le cause profonde della
distruttività umana che, una volta, erano
legate ai processi di necessità e
sopravvivenza; adesso, nel contesto della realtà
tecnologica liberante dal bisogno, sono obsolete
rispetto ad ogni tentativo di apologia del
dominio.
L’iniziativa
della denuncia consapevole ha dunque il compito
di affermare che la crudeltà come sistema non
trova riscontro nel bisogno della sopravvivenza,
essa è colpevole, non ammissibile e va
superata. Bisogna opporsi agli enti economici e
morali che perseguono il fine di ricreare le
condizioni del bisogno, della necessità e della
morte in forma indotta e artificiale o,
addirittura, esaltano il martirio, fuori da ogni
contesto, come valore filiale di dedizione.
Giungeremo finalmente a non produrre scorie,
odio e distruzione verso noi stessi ed il
pianeta.
La
civiltà sociale si fonda sulla ricchezza e
pluralità delle relazioni umane; dall’unico
indifferenziato alla molteplicità dei linguaggi
e dell’ambiente, è questo il percorso
evolutivo della qualità umana. La pedagogia di
una comprensione assoluta resta comunque una
utopia ed un equivoco se intesa come unità di
percezione che ci esime nella vita dalla paura
di incontrare la solitudine e la morte.
L’identità assoluta di appartenenza al corpo
dell’origine è per definizione una condizione
persa
(paradiso perduto) che elide il soggetto nella
sua essenza di persona.
L’identità deve lasciare il posto ai processi
adattivi dell’identificazione nelle relazioni.
Il vivente deve arrendersi all’evidenza di
essere soggetto sempre in perdita che si
costituisce intorno all’imperfezione e al
rischio dell’impatto post-natale, ai quali può
opporre sessualità, invenzione ed arte nella
dialettica affettiva della vita. L’affetto può
colonizzare ciò che non è umano sulla spinta
pulsionale dell’istinto di riproduzione.
Si
tratta di riconoscere ed accettare il mondo come
utero amico, altro e diverso rispetto
all’origine, non di negarlo restando
imprigionati al guinzaglio dell’unico legame.
In questo senso il matricidio ideale risolve
nell’appartenenza collettiva il debito
assoluto del dominio.
Nel
processo di individuazione, la castrazione,
correttamente intesa come elisione del
figlio-pene posseduto dalla madre e restituzione
del figlio all’autonoma proprietà di ruolo,
segna il momento di rottura tra la condizione
percepita come onnipotenza narcisistica ed il
superamento dell’edipo.
Dunque
la castrazione non è femminilizzazione, monito
di riduzione e assimilazione dell’autonomia
maschile alla ginocrazia materna (come avviene
tra Crono e Urano per disposizione di Gea, o
come si ritualizza nella circoncisione), ma è
apoteosi della differenza sessuale, liberazione
di genere, accesso alle funzioni superiori
dell’amore nel sistema, infine superamento
della distruttività umana!
Il
taumaturgo di Hamelin
L’analisi
freudiana del mito greco si ferma al parricidio
e attribuisce la presunzione di colpa al figlio;
ma la spiegazione del significato profondo di
ogni conflitto in cui il figlio esautora il
padre risiede nell’evidenza che è la madre
che si accoppia con la sua progenie perseguendo
il tentativo, il cui esito è tragedia, di
coprire ed esorcizzare la necessità del
matricidio quale condizione alla base di ogni
riuscita alla vita.
Questa
verità è resa eclatante da Oreste e dalla
sorella Elettra che uccidono la madre parricida
e aprono la prospettiva di relazioni sociali in
un mondo in cui si realizza il riscatto dei
fratelli. È la lezione di Virgilio che fa
risalire alla morte della città-madre Troia le
premesse della gloria dei romani. Enea salva il
padre Anchise e raddoppia la negazione del
legame di transfert primario sulla pira di
Didone: egli non ama tale donna, perché incarna
il fantasma della madre la cui esigenza è di
intralcio al compimento della grandezza
dell’impresa. La fondazione di Roma nel mito
virgiliano può sviare dall’interpretazione
vera: l’impresa eccezionale è, per ciascuno,
quella di poter essere normale. I grandi
riferimenti ideali infatti realizzano le
aspirazioni della quotidianità media dei
singoli. Un uomo, nella donna (la nuova città
da fecondare), non può certo amare la madre, ma
la propria immagine del limite ideale. Per il
soggetto maschile, l’amore si profila
all’orizzonte; la stazione nel luogo
dell’origine non sviluppa neppure la
necessaria differenza per una identificazione
sessuale.
Il
matricidio è ancora l’intuizione risolutiva
di Scipione, il quale prima contro Cartagena,
poi contro Cartagine, muove la scelta decisiva
che segna la fine di Annibale, anch’egli
figlio della città di Didone. Distrutto in
Cartagine il fantasma della grande madre, Roma
stessa ne assumerà le sembianze nella storia.
La restaurazione matriarcale troverà, negli
stessi luoghi fatali, la sua apologia cristiana
con Sant’Agostino.
Il
matricidio, inteso come condanna
dell’incapacità della famiglia ad educare, è
infine, il tema liberatorio della favola
medioevale a tutti nota, Il
Pifferaio Magico. Il messaggio emancipatorio
e socializzante è limpido, diretto e spietato,
come raramente avviene nelle fiabe che pure
nascono dalla cultura popolare a suo stesso uso
e consumo pedagogico. La città di Hamelin viene
privata di tutti i suoi bambini dal Pifferaio
Magico il quale ha già sperimentato
l’ingratitudine, l’incapacità alla
generosità e gli effetti della fissazione anale
all’egoismo e al denaro degli abitanti adulti.
Il piffero del misterioso taumaturgo, ha
facilmente ragione della moltitudine dei topi
che infestano la città tormentando gli
abitanti, quale segno dell’avidità anale,
appunto, espresso nella forma del loro
attaccamento al denaro. La qualità fallica
dello strumento pone in evidenza l’importanza
della questione della maturazione genitale nella
formazione della personalità matura, capace di
sviluppare l’idea di un mondo solidale, a
partire almeno dalle nuove generazioni: o uomini
o topi, recita la morale.
Non
importa la specificazione di quale possa essere
il mondo migliore possibile in alternativa a
quello reale, l’intento emancipatorio si
realizza nell’atto stesso della separazione
dei figli dalle famiglie; l’effetto
liberatorio è raggiunto a costo di rasentare
l’angoscia di separazione verso l’ignoto,
nello sviluppo tronco del racconto.
Il
distacco è di per sé evento che produce
redenzione, come, al contrario, la mancanza
della differenziazione nel percorso di
precisazione dell’individuo nel sociale porta
alle degenerazioni dell’incesto matriarcale.
Mutter
alles,
un muro alla berlina
È
intanto ancora necessario ribadire alla
coscienza di ciascuno quali sono le strutture
che sottendono alla guerra. L’idealità
germanica si è riconosciuta nella nazione
tedesca sul modello della società-famiglia, del
clan allargato a contenere, come un utero,
l’intero bacino di appartenenza, rivendicando
una propria identità religiosa cristiano l-uter-ana,
e una propria capacità di misura del mondo a
cui ridurre la realtà circostante (uter
alles). A differenza del matriarcato romano
fondato sull’incesto famigliare con la madre
che esautora sessualmente il padre (papismo),
nel bacino tedesco l’incesto è sociale, la
famiglia è l’intera comunità, il clan
nazionale; qui il padre è cancelliere
politico per istituzione; suo compito è quello
di regolare il transito da e verso l’esterno a
tutela dell’unicità territoriale (la razza).
Dice Fornari:
Anche
Hitler infatti cominciò a delirare di guerra
partendo dal fantasma persecutorio della
Germania-madre soffocata e uccisa dagli ebrei e
dai popoli che le stavano intorno: di qui la
guerra illusoriamente fantasticata come mezzo
per procurare alla Germania uno ‘spazio
vitale'.
La
questione si precisa in realtà
nell’incompatibilità alla coesistenza tra lo
spazio interno in quanto utero sociale e quello
esterno in ogni caso negato e disprezzato
nell’oggettivazione della sua diversità
(razze inferiori non ariane) rispetto al primato
dell’utero-nascita-nazione dell’identità
collettiva di appartenenza. La grande madre
germanica (Deutscheland
mutter
alles) ha tentato di ridurre il mondo al suo
modello di ginocrazia sociale. In questo
confortata e affiancata dal cattolicesimo
vaticano che schierava il suo campione, a cui
furono attribuite tutte le fedi
della nazione, addirittura nell’intento di
direzione ideologica e politica dell’asse
nazismo-fascismo (nascismo).
Entrambe
le parrocchie
hanno indicato la via del parricidio, contro il
modello culturale ebraico, quale via maestra per
riaffermare il primato del sangue e della razza
sul sociale (nazionalsocialismo).
Il
modello sociale è quello della setta imperniata
intorno ad un capo che assomma il potere
spirituale e legale. Non importa il sesso del
capo, il modello è sempre ginocratico. Dice
Jamine Chasseguet-Smirgel:
La
figura paterna è in effetti scacciata, esclusa
dal gruppo come il Super–io (…).
Così
il capo partecipa più della madre onnipotente
che del padre. Si è spesso paragonato il
nazismo [primato
della nascita]
a una religione, le assemblee di Norimberga a
delle messe e Hitler a un grande sacerdote. In
effetti il culto così tributato ha per oggetto
più 'la dea-madre' (Blut und Buden) che il
padre. Si assiste nelle masse così costituite a
un vero e proprio sradicamento del padre e
dell'universo paterno e contemporaneamente di
tutti i derivati dell'edipo e, per ciò che
concerne il nazismo, il ritorno alla natura,
all'antica antologia Germanica, manifestando
l'aspirazione alla fusione con la madre
onnipotente.
Già...,
il nazismo! Dov’era dunque dio? Si chiedono
come testimoni Elie Wiesel e Primo Levi. Il dio
cristiano era certo con i loro aguzzini (got
mit uns), per aiutare a rieducare attraverso
il potere liberante
del lavoro tendente a costo zero (arbeit
macht frei) lo strappo alla cultura della
placenta cristiana operato dall'invenzione da
parte di una intelligenza non cristiana, più
emancipata per via del riferimento strutturale
al potere socializzante e sessualizzante del
padre come è nel laicismo della cultura ebraica
alla base del marxismo, della psicoanalisi,
della relatività nella scienza. Uno sterminio
esemplare perché non ci sia un altro
e diverso capace di smentire e superare il
primato biologico della nascita e della nazione
attraverso l'affermazione invece del primato
della vita e del sociale; 'che questi altri
tornassero di
là, da dove sono venuti, attraverso il camino
inverso. Non si può essere certi che questa
storia non trovi altre forme per ripetersi finché
non sarà stato detto e compreso il motivo
profondo di ciò che è stato nel cuore della
civilissima Europa.
Il
muro del
pianto tedesco è stato rimosso a Berlino
dai nuovi bisogni di rimozione del nascente
nazionalismo europeo. Per alcuni decenni il
monito di ver-gogna
della parete ha messo alla berlina
l’intolleranza settaria della psicosi
narcisista. Tuttavia ogni rimozione ripropone
intatto il reiterato affacciarsi del sintomo
irrisolto. Il nuovo millennio segnerà il
percorso che porterà al crollo le mura
di Gerico del dominio matriarcale, fino a
svelare quanto c’è ancora di attuale in esse
dell’antico enigma delle mura
troiane. Il nuovo millennio impone una sfida
di consapevolezza per l’essere umano: si
tratta di raggiungere, comprendere e superare il
muro del
“sono” nella coscienza sociale,
superando anche le paure più ancestrali.
Maramao
non è morto
Emancipazione
o sconfitta nella reazione è il dilemma di ogni
evoluzione civile. Come sempre la donna figlia
è chiamata al ruolo motivante perché si svolga
in tutta l’estensione naturale la rivoluzione
del ricambio generazione, perché la luna copra,
in una eclissi inaugurale, lo spettro del sole
alla terra madre, riservando a se stessa, per un
attimo significativo, il luminoso impatto
sull’altra faccia della sfera.
La portata simbolica dell’eclissi di sole è
nell’augurio che la donna sviluppi, nella
differenza dall’altra donna, le condizioni di
emancipazione verso la liberazione della
pulsione sessuale, a beneficio d’amore per la
condizione umana. Alla luce del sole, la magia
dell’amore può rompere la malia della
possessione. La vita si afferma nei modi in cui
la luce relega il potere dell’ombra alle
dipendenze del soggetto.
La
coscienza innanzitutto deve acquisire i
necessari criteri di igiene affettiva per
separare finalmente gli ambiti rituali e
simbolici della religione dalle regole di
governo delle responsabilità comuni.
La
passività indifferente delle religioni nelle
vicende di involuzione sociale è stata solo
apparente. Come la donna che tollera per anni in
casa un marito violento verso i figli, non è
credibile che possa essere semplicemente
assimilata al ruolo delle vittime, bensì è
complice oggettiva e, a ben vedere (e sia pure
in modo ambivalente), è pur sempre
l’ispiratrice del clima famigliare; allo
stesso modo
la chiesa di Roma ha saputo e taciuto ciò che
altri cristianissimi autori, sulla base di una
lunga tradizione storica di pogrom, perpetravano
ai danni di ebrei e minoranze.
Per
sua natura sessuale ed affettiva la violenza del
matriarcato si riserva il ruolo oscuro del
mandante. Oppure rivendica pubblicamente come
forma ineluttabile di amore il martirio ed il
sacrificio umano.
Si
può esaltare in modo così esteso il ruolo
salvifico della morte senza che l’olocausto
divenga realtà effettuale? Affermare ciò in
coscienza vuol dire voler professare una cattiva
fede.
Ecco
la profonda natura fisio-affettiva dei veli
cosali della storia.
Ancora
nell'odierna rappresentazione della sacralità,
la placenta materna rivendica il suo contenuto
per non sentirsi vuota: la Sacra
Sindone reclama il suo contenuto (con-te-nato)
umano, placenta e sudario di un corpo che non si
vuole dare alla vita ma trattenere per sé come
fallo autoprodotto e sempre desiderato. È amore
ciò che è capace di distruggere per desiderio
di possesso pur di non liberare? Quanto miseri e
poco misteriosi sono i misteri della fede!
Bisogna
superare tutte le paludi della colpa (che, in
quanto tale, non può che essere attribuita in
forma proiettiva) per giungere ad accettare
l'idea che la verità è indissolubilmente
legata alla responsabilità e al contributo di
ciascuno. Al terapeuta, che apprende il suo
sapere nella dialettica tra il metodo e la
prassi umana, la verità si affaccia nelle
sembianze del fantasma, nella medesima sembianza
in cui il padre si svela ad Amleto, con tutti i
dubbi e le verifiche che impone una scoperta che
mette in mora certezze e convinzioni tanto più
evidenti quanto più svolgevano la funzione di
una efficace copertura:
Se
questo si fosse rivelato possibile, se io
l'avessi vissuto e avessi potuto testimoniare
personalmente o tramite altri, avrei potuto
concludere che molto più spesso di quanto
crediamo, se non sempre, la morte di una
creatura giovane - e del resto perché non
qualunque morte? - è una forma di uccisione, se
non addirittura di omicidio. Ricordo che, nella
mia cultura di origine, quando la salma viene
composta nella bara tutti quelli che assistono
sono invitati a chiederle perdono ad alta voce.
Ero quasi sul punto di sostenere che morirebbe
chiunque si accorga che nessuna delle persone
che contano nella sua vita tiene veramente a
lui.
Pinocchio
fa marameo;
si fa beffe della morte da impiccato: "Se
non è morto, è segno che è sempre vivo"
sentenzia il dottore. Maramao
non è morto; il naso gli ricresce per
negare che è il suo sesso ad essere castrato.
È dunque il fallo
il vero oggetto del desiderio. Del desiderio di
chi ci ha creato. Viva Pinocchio, eroe
anticristiano.