Il
matricidio
Il
giudizio di Atena. La rivolta di generazione
L’aggressività
di opposizione, di differenza, rivolta verso la
madre è un atto contro la religione (e viceversa).
Per natura i figli non sono predisposti facilmente a
tanto. Sebbene si colpevolizzino spesso i figli di
essere contro i genitori,
In
realtà, invece, non v’è bambino che non sia
pronto ad addossarsi lui stesso la colpa della
crudeltà dei genitori, al fine di scaricare da
loro, che egli continua pur sempre ad amare, ogni
responsabilità.
I
casi, rari e fortemente amplificati, di uccisione
dei genitori, soprattutto quando sono atti rivolti
contro la madre, hanno sempre una doppia
interpretazione: la prima è relativa a ciascun
caso, dove un esame sereno e attento non può che
rilevare una forte predisposizione autolesiva del
genitore (da qui la rarità e l’eclatanza), come
se lo stesso genitore avesse maturato nel proprio
vissuto la convinzione inconscia (e inconsciamente
trasmessa) che il figlio debba ribellarsi al
genitore almeno quanto e più di quanto egli stesso
sia stato incapace di fronte ad una violenza subita
quando a sua volta era nel ruolo di figlio; la
seconda è la proiezione di colpa che il senso
comune attua nel giudicare simili eventi: così si
costruisce il mostro, pur di negare la propria
pulsione aggressiva si traspone su un soggetto
disumanizzato il proprio fantasma aggressivo. Oppure
si enfatizza l’evento in modo esemplare per
ribadire, per estensione, la presunzione di colpa
che alberga in ogni figlio anche solo al pensiero di
una autonoma discordanza con il genitore.
Eppure
il matricidio ha rappresentato la strettoia
obbligata, almeno nella rappresentazione mitologica,
nel momento del passaggio dal matriarcato alla fase
dove il baricentro del modello famigliare era
spostato sulle necessità di socializzazione e di
espansione derivate dalla figura paterna. È molto
esplicito il commento di
Engels:
Conseguentemente
Bachofen presenta l’Orestiade di Eschilo come la
descrizione drammatica della lotta tra il diritto
matriarcale al suo tramonto e il diritto patriarcale
nascente e vittorioso nell’età eroica.
Clitennestra, per amore del suo amante Egisto, ha
ucciso il marito Agamennone che tornava in patria
reduce dalla guerra di Troia, ma il figlio suo e di
Agamennone, Oreste, vendica l’assassinio del padre
uccidendo la madre. Perciò lo perseguitano le
Erinni, custodi demoniache del diritto matriarcale,
secondo il quale il matricidio era il più grave ed
inespiabile delitto. Ma Apollo, che col suo oracolo
aveva spinto Oreste a questa azione, ad Atena,
chiamata come giudice, entrambe divinità che qui
rappresentano il nuovo ordine, il diritto
patriarcale, lo difendono; Atena ascolta le due
parti in causa. Tutta la controversia si compendia,
in breve, nel dibattito che ora si svolge tra Oreste
e le Erinni. Oreste si appella al fatto che
Clitennestra ha commesso un doppio delitto,
uccidendo ad un tempo colui che era marito di lei e
padre di lui. Perché allora le Erinni
perseguitavano lui, e non lei che era molto più
colpevole? La risposta è convincente:
«Ella
non aveva legami di sangue con l’uomo che
uccise».
L’uccisione
di un uomo non consanguineo, anche se marito
dell’assassina, è espiabile e perciò non
riguarda le Erinni, il cui ufficio è solo di punire
i delitti tra consanguinei, e il matricidio, secondo
il diritto matriarcale, è il più grave e
inespiabile dei delitti. Apollo si presenta come
difensore di Oreste. Atena fa votare gli Areopagiti,
scabini del tribunale di Atene; i voti di condanna
eguagliano quelli di assoluzione; allora Atena, come
presidentessa, vota a favore di Oreste e lo
proscioglie. Gli dèi di nuova stirpe, come sono
chiamati dalle stesse Erinni, vincono le Erinni e
queste alla fine si lasciano indurre ad assumere un
nuovo ufficio a servizio del nuovo ordine.
È
attraverso una diversa disposizione dei figli, di
Oreste in particolare, che si attua lo scatto
emancipatorio verso la civiltà sociale. Altrettanto
essenziale è la consapevolezza ed il consenso
femminile al cambiamento verso il nuovo ordine delle
cose: la sorella Elettra consente, Atena ratifica e
sancisce. Il superamento del matriarcato avviene per
atto matricida ad opera dei figli che riscattano se
stessi in quanto figli legittimi del padre.
Così il patto
tra fratelli segna l’esordio delle imprese più
fortunate nella storia. Il valore di quest’atto
supera ogni sterile contrapposizione sessista tra i
ruoli maschile e femminile e pone la questione nella
corretta accezione sessuale del debutto dei nuovi
soggetti, uomini e donne, come necessaria
separazione e opposizione nei riguardi della
famiglia di origine.
La
dialettica dell’essere non è conflitto di genere,
ma di gener-azione; è cioè azione sessuale e non
sessista.
Non
è contrapposizione tra i sessi nella guerra di
parità, sostituzione o di negazione del maschile
con il femminile, ma è dialettica del superamento
dalla condizione di figli a quella di uomo o donna
adulti, il passaggio a questo stato rende obsoleta
la funzione dei genitori nella famiglia di origine.
Che l’adulto abbia dei genitori non vuole dire che
egli resti bambino. È qui che la trinità
del matriarcato impone l’inciampo, la ripetizione
del tre
come imposizione del logos famigliare coincide con
il trentatreesimo anno di Cristo (”Dica
trentatré!” È il test per sapere se si è
sani). Il protrarsi del luogo comune dell’incesto
oltre la fase di crescita formativa confonde la
differenza sessuale nell'ostilità e
nell’impotenza, designa alla sconfitta le
potenzialità fisio-affettive dei nuovi soggetti,
fino a configurarsi come autolesionismo o
distruttività
nei giovani.
Se
nel processo umano dello sviluppo l’erotismo
è un fatto di genere fisiologico; la differenza
sessuale è invece questione che riguarda il
rapporto di avvicendamento tra generazioni.
Abolizione
della famiglia! Per un materialismo biologico
dialettico
La
formazione e lo sviluppo della facoltà sessuale è
un atto di crescita e di maturazione; non
può che essere atto di matricidio come riscatto
del corpo rapito nel sequestro alienante del
possesso di casa. Dov’è lo scandalo? Il fatto che
si nasca da un corpo generante impone la necessità
di un riscatto del figlio-oggetto verso la
condizione di soggetto: la redenzione o è ideale
matricidio o è passione e morte del figlio,
comunque del suo progetto di vita.
Il
referente di opposizione vero nel processo di
maturazione edipica, diversamente da Freud, non è
il padre se non nel suo ruolo di cancelliere del
dominio domestico: il superamento dell’Edipo è
contro la madre!
In
questo nuovo corso della storia Caino e Romolo non
uccidono il fratello, Edipo non uccide il padre,
Crono non evira in Urano il padre ed il fratello, e
non mangia i propri figli per negare il tempo! I
nuovi soggetti, già formati, aboliscono la famiglia
che li piega al protrarsi della dipendenza
obbligata. Ed
è straordinario che tale consapevolezza sia stata
enunciata con chiarezza nel più conosciuto, e non
compreso, dei manifesti:
Abolizione
della famiglia! Persino i più avanzati fra i
radicali si scandalizzano di così ignominiosa
intenzione dei comunisti.
È
anche il caso di notare che non solo il soggetto
maschile nel ruolo di figlio subisce il destino di
passione e di morte, ma anche la donna interpreta di
sovente la trama del personaggio cristiano; la
codifica di questa disposizione si riscontra nei
luoghi comuni letterari e negli innumerevoli fatti
di cronaca: l'innamorata Giulietta, Biancaneve, la
Bella Addormentata, e così via fino a Marilyn
Monroe e Lady Diana e ancora in altre
rappresentazioni dove il paradosso vuole che, per
vivere, occorra subire l'insulto di una morte vera o
apparente.
La
famiglia alienata nella logica del possesso sui
corpi distorce in esiti di distruttività il
rapporto tra figli e genitori e si impone paradigma
economico di ogni sfruttamento sociale.
L’antropofagia famigliare è de-generazione che,
estesa a sistema di dominio, sequestra il tempo
della vita, nega l’incontro con la relazione
sociale e l’impatto creativo con l’amore.
L’ideale
matricidio
oggi è riferito ai comportamenti di opposizione
della crisi adolescenziale o alle rivolte
generazionali; ben poca cosa in realtà, la crisi è
un impulso sano, ma è sempre più anticipata e
preventivamente elusa: il motivo è che i soggetti
interessati al possesso si sono accorti che la
rivolta sessuale diretta contro la figura repressiva
del cancelliere
(il padre) era in realtà diretta in modo ancor più
efficace contro il possesso matriarcale!
Il
parricidio, da sempre in auge per incanalare in
atti di guerra le pulsioni oppositive al potere
centrale, è
ormai svelato nella sua realtà di falso obiettivo
che lascia irrisolto l’enigma del potere: il
dominio della Sfinge sulla carne e sul destino.
Su
questa logica che attribuisce la discontinuità del
modo di procedere, nel singolare,
all’avvicendamento generazionale, si definisce
anche la proiezione sociale, su scala plurale: nel
divenire ontologico, la
dialettica sessuale si rappresenta come lotta di
classi! Scontro tra classe padrona e movimenti
di sfruttati. È conflitto perenne tra sequestro dei
corpi e loro processo di liberazione. È strappo
evolutivo tra condizione animale di servaggio e di
appartenenza obbligata verso la liberazione e la
civiltà sociale.
L’intuizione
marxista del ciclo della dialettica storica trova le
ragioni del suo materialismo non nella materialità
dell’economia (che delinea il terreno di verifica
del concreto), ma già prima, nella consistenza
protoplasmatica della realtà fisio-affettiva.
Il
materialismo è biologico dialettico e si sostanzia
nell’irriducibilità della differenza sessuale
nell’azione di genere; cioè nell’impulso
generazionale di liberazione sessuale verso
l’unica proprietà che abbia senso, che abbia
valore e che non sia un furto sul soggetto
deprivato: la proprietà di genere sessuale.
Il
principio della deriva. Penelope e la vela
Ogni
rivoluzione è processo di riappropriazione di
ruolo, dalla condizione indifferenziata di massa
all’affermazione del soggetto collettivo.
Tuttavia
l’alternativa alla condizione sempre retriva del
matriarcato non è nella complementarietà logica di
un patriarcato: non vi è alternanza di ruolo tra
maschile e femminile, poiché il padre non può
partorire; l’emancipazione dalla semplice
condizione animale di mammiferi
ad esseri evoluti, pronti ai nuovi compiti del
reale, apre alla libera espressione dei corpi e
delle emozioni verso una condizione di libertà
incentrata sulle relazioni sociali, verso le
conseguenze della naturale differenza sessuale non
più costretta nell’universo perverso e privato
dell’incesto. Il genere umano si evolve in modo
naturale, per conoscenza e non per artificio
correttivo della scienza; nella spirale
del divenire si realizza la pienezza dell’essere,
ben oltre il cerchio
vizioso dell’anomalia della tara.
L’esistenza
o è viaggio o è rinuncia. Ulisse spinto dalla vela
(Penelope faceva il bello e il cattivo tempo sulla tela),
deriva la
propria intelligenza dall'attitudine al distacco e
all’emancipazione. Ecco un uso evoluto della
placenta umana! La prerogativa del potere avvolgente
della madre può chiudere il mondo nel cul
de sac dell'intestino cieco, del non-partorito,
nel telo-sudario e nel velo di clausura che esclude,
a priori, il rapporto con il vero e con l’esterno.
Tela
e vela esistono invece come elaborazione della
placenta in chiave creativa e liberante da parte di
figli già in grado di accedere al soggetto.
Penelope nella sua apparente passività di donna,
moglie e madre fa davvero il bello e cattivo tempo
nel tessere la trama dell’Odissea, solo restando
al quadro dei comandi di quella macchina del tempo
che è il suo telaio.
In
greco antico, telaio
e vela
coincidono nello stesso significante linguistico: belo.
Tela-io e tela sono anche metonimie della membrana
(placenta o imene) femminile e del supporto naturale
da cui origina la storia di ciascuno. Il vento che
sospinge Ulisse in opposte fortune è il destino
scandito nella dialettica con l’umore degli dèi,
quando questi altro non sono che le proiezioni umane
in chiave rappresentazionale delle stesse
interazioni fisio-affettive dell’inconscio.
È
Penelope che tesse, suo malgrado, l’ordito della
storia! Klima-atos
(l’inclinazione terrestre) e Clio
(la musa della storia) espongono ogni affetto umano
agli effetti fisici dell’ambiente
nell’interazione di tempo, relazione e destino.
Sulla scena della vita la trama è scritta al
femminile, ma il raggio della sua ampiezza, la
qualità che delinea la profondità psicologica e
l’autonomia di ruolo che fa sì che si possa
improvvisare una recita a soggetto da parte degli
attori (nella scena data) è prerogativa del potere
differenziante della sessualità del padre. Così
pure la possibilità di accedere a questa verità
sul piano della consapevolezza; al contrario,
nell’indifferenziato dell’origine l’Io
non si struttura se non come fusione
nell’appartenenza al d’io.
Nella
narrazione ebraica, Alef,
la prima lettera dell’alfabeto, scrive la parola ani
che designa l’Io; ma è anche l’inizio del primo
comandamento in originale, dove io
e dio
coincidono nel senso:
Io
– ani – sono l’Eterno, tuo Dio.
Insomma
l’io
della madre, unitamente alla funzione di identità e
appartenenza, diviene
dio
per ciascuno, e per l’origine d’io
(possesso genitale-genitivo dell’io-madre). È
ancora una volta la parola a far emergere, con lo
scarto di un’apostrofo, la vera sostanza umana e
sessuale di dio.
L'insoluto
di Amleto
Il
mito greco non è matriarcale né monoteista, con
lucidità onirica svela quanto e in che modo la
deriva nel mondo fondi invece l'invenzione.
L’esterno diviene forma sociale, civiltà umana,
scambio, disposizione all'arte, fino a divenire
narrazione tramandata da un cantore. Al contrario,
l’antro del ciclope, come il labirinto, descrivono
l'incesto. Se non è gioco risolto allora è
mostruosità deforme, crudeltà sanguinaria.
Telemaco,
tra tutti i figli, sarà ancora a lungo l’emblema
del figlio ideale: con la stoffa della madre
e l’ingegno oltre i limiti del padre
il suo destino può spaziare sulla migliore ma-p-pa
di ogni tempo.
Ancora,
a commento della citazione di Engels sul valore del
mito di Oreste, si può rilevare come il ruolo del
figlio di fronte al parricidio ispirato dalla madre
sia, in fondo, anche il tema letterario
dell’Amleto. Qui la responsabilità materna è
indiretta, ma non meno effettiva,
perché agita attraverso la volontà del
cognato che diviene suo consorte; pertanto la
modalità in cui si gioca il moto di giustizia da
parte di Amleto non può essere la stessa che fu di
Oreste: il fantasma che lo motiva è ben
appariscente, è invece sottinteso l’intento
delittuoso della madre. Inoltre, Amleto è solo.
L’agire
del principe resta senza oggetto; confonde Ofelia e
ne uccide il padre; finisce poi in tragedia, in una
scena senza vincitori, che rilascia solo testimoni
cui spetta il difficile compito di interpretare
l’implicito messaggio scritto negli eventi. Alfine
muore la madre; ma con lei sono condannate la stirpe
e tutta la scena. Anche il dramma di Shakespeare ha
un intento emancipatorio; tuttavia la situazione è
più confusa: c’è
del marcio in Danimarca, come in tutta
l’Europa cristiana e matriarcale.
Cosa
sicura è che l’irrisolto destina alla sciagura.
Merita
di essere sottolineata la considerazione a riguardo
della centralità che assume il diritto del sangue e
il primato della nascita nel diritto matriarcale, in
contrapposizione al primato della legge sociale che
è del padre. Fino al nazi-fascismo (nascismo)
dei nostri giorni non c’è dunque restaurazione
matriarcale che non sia basata sul diritto biologico
della razza, sul vecchio e nuovo insorgere di
schiavitù, imperialismi, di fusioni sovranazionali
(come il nascente matriottismo
della grande Europa) inevitabilmente sostenuti da
patti, più o meno espliciti,
di alleanze militari che cercano verifiche di
sangue; tutto ciò in opposizione ad una cultura
sociale che tolleri senza riduzioni e senza
accorpamenti la dialettica nella convivenza
dell’altro, del diverso, delle differenze, delle
libere associazioni.
La
vecchia Europa che vuol esser madre
L’Europa
può avere successo nella sua ricerca di unità
politica solo se sarà in grado di affermare il suo
progetto confederale come patto
tra popoli fratelli: per esempio, sul modello
della genesi romana fondata sulla democrazia dei
sette colli e sostanziata poi nel Diritto romano
come nella stipula dei patti con gli alleati. Lo
stesso tipo di alleanza, in proporzione minore,
sorregge l’accordo svizzero tra i cantoni o, a
livello macroscopico, l’unione tra gli Stati
d’America, costituitasi nella lotta contro la
vecchia Inghilterra. Questa, a suo tempo, giustiziò
il re per affermare il diritto della collegialità
borghese. Enfants
de la patrie francese ebbero in odio il vecchio
regime al punto di de-testare una quantità in serie
industriale dei suoi esponenti; e così via. La fase
costituente è in ciascun caso fondata su una lotta
di emancipazione, ineludibile perché non si dà il
nuovo senza scarto dall’origine. Il successo del
progetto sociale deriva dal superamento del debito
di unità famigliare.
Anche
il processo di unificazione dell’Italia ha preso
le mosse dalla ricomposizione di una realtà
geopolitica di innumerevoli staterelli sparsi nella
penisola: Fratelli
d’Italia insorti contro i genitori dittatori.
Nell’allegoria collodiana Pinocchio è l’Italia
che si costituisce contro il dominio degli Stati
stranieri e, in special modo, contro il matriarcato
imperante della santa sede: il matricidio avvenne a
Porta Pia.
In
ogni caso, nessun accorpamento sovranazionale può
eludere la questione del matricidio simbolico, come
dire che non si dà nuova identità che non ne
esautori una più antica. Anche la nuova Europa
figlia, nel costituirsi, deve uccidere la madre! È
impossibile tuttavia che una simile evenienza si
realizzi finché sarà attuale l’asse
euro-vaticano, ispirato ai princìpi conservatori
dell’espansionismo dell’economia tedesca.
L’Europa unita è per di più, entità politica
astratta, storicamente mai esistita, priva pertanto
dell’idealità di un parto,
come fu per Porta Pia, o per la rivoluzione
francese.
La
maieutica della storia dimostra che ogni reale
innovazione impone una rivoluzione. La vecchia
Europa non può clonare se stessa, rubando la scena
al sorgere di un’identità nuova, senza incappare
nel concreto della reazione, della guerra e della
degenerazione. Si presti fede al genio politico di
Shakespeare in merito alle questioni umane:
l’irrisolto dell’incesto destina alla sciagura.
Il
paradosso di regola vuole che ogni atto creativo
presupponga un ideale matricidio. La creazione è
innanzitutto superamento della vecchia condizione.
Al
contrario il matriarcato rende sterile il naturale
processo di ogni creazione. Questa irriducibile
verità ci preserva dalla fantasia che lo sviluppo
del progetto possa prescindere dalla libertà e
dalla ragione: anche per quanto riguarda gli Stati,
come nel linguaggio e per gli esseri umani, si
tratta di attuare alleanze e libere associazioni!
Oggi più che mai, non c’è alternativa alla
libertà che non sia il ritorno alla barbarie o la
completa distruzione.
La
guerra provocata è il più ovvio correlato della
società dell'incesto. Perché rincorrere le
fusioni nello schieramento di grandi gruppi quando,
per la prima volta nella storia del genere umano, ci
sono oggettivamente risorse, ricchezze e
autosufficienza per il benessere di tutti e per
progettare ogni utopia? Rompere le righe
bisognerebbe per avviare un processo di sviluppo
virtuoso. Chiamare a correo in questa fase di
benessere oggettivo ha l'unico obiettivo di attuare
progetti di rapina e di predazione verso i territori
più deboli in concorrenza con le corporazioni
rivali.
Per
il comando matriarcale l’illibertà, la schiavitù
del bisogno, le condizioni di necessità sono merci
preziose da ricostruire in modo artificiale, anche
quando non possono più essere addotte come ostacoli
oggettivi al raggiungimento dell’equità sociale.
Allo stesso modo è impossibile accumulare grandi
ricchezze private
(a chi?) senza che vi sia dovizia di povertà e di
ignoranza.
Istituzioni
totali, razzismo biologico, teologia del sacrificio
umano, valorizzazione del capitale sulla base della
schiavitù del lavoro salariato, affiliazioni di
mafia, queste le forme note ed attuali nelle quali
la dittatura del primato sessuale della madre
pienamente realizza la sua forma sociale. Il
possesso sui corpi diviene conflitto tra fratelli,
volge la competizione in concorrenza,
istituzionalizza la violenza. Reintroduce la
supremazia del sangue sulla legge. Feticismo, merce
e perversione rendono impossibile l’amore.