Da Oreste ad Amleto

 

Il matricidio

  Il giudizio di Atena. La rivolta di generazione

 L’aggressività di opposizione, di differenza, rivolta verso la madre è un atto contro la religione (e viceversa). Per natura i figli non sono predisposti facilmente a tanto. Sebbene si colpevolizzino spesso i figli di essere contro i genitori,

 

In realtà, invece, non v’è bambino che non sia pronto ad addossarsi lui stesso la colpa della crudeltà dei genitori, al fine di scaricare da loro, che egli continua pur sempre ad amare, ogni responsabilità[1].

 

I casi, rari e fortemente amplificati, di uccisione dei genitori, soprattutto quando sono atti rivolti contro la madre, hanno sempre una doppia interpretazione: la prima è relativa a ciascun caso, dove un esame sereno e attento non può che rilevare una forte predisposizione autolesiva del genitore (da qui la rarità e l’eclatanza), come se lo stesso genitore avesse maturato nel proprio vissuto la convinzione inconscia (e inconsciamente trasmessa) che il figlio debba ribellarsi al genitore almeno quanto e più di quanto egli stesso sia stato incapace di fronte ad una violenza subita quando a sua volta era nel ruolo di figlio; la seconda è la proiezione di colpa che il senso comune attua nel giudicare simili eventi: così si costruisce il mostro, pur di negare la propria pulsione aggressiva si traspone su un soggetto disumanizzato il proprio fantasma aggressivo. Oppure si enfatizza l’evento in modo esemplare per ribadire, per estensione, la presunzione di colpa che alberga in ogni figlio anche solo al pensiero di una autonoma discordanza con il genitore.

Eppure il matricidio ha rappresentato la strettoia obbligata, almeno nella rappresentazione mitologica, nel momento del passaggio dal matriarcato alla fase dove il baricentro del modello famigliare era spostato sulle necessità di socializzazione e di espansione derivate dalla figura paterna. È molto esplicito il commento di  Engels[2]:

 

Conseguentemente Bachofen presenta l’Orestiade di Eschilo come la descrizione drammatica della lotta tra il diritto matriarcale al suo tramonto e il diritto patriarcale nascente e vittorioso nell’età eroica. Clitennestra, per amore del suo amante Egisto, ha ucciso il marito Agamennone che tornava in patria reduce dalla guerra di Troia, ma il figlio suo e di Agamennone, Oreste, vendica l’assassinio del padre uccidendo la madre. Perciò lo perseguitano le Erinni, custodi demoniache del diritto matriarcale, secondo il quale il matricidio era il più grave ed inespiabile delitto. Ma Apollo, che col suo oracolo aveva spinto Oreste a questa azione, ad Atena, chiamata come giudice, entrambe divinità che qui rappresentano il nuovo ordine, il diritto patriarcale, lo difendono; Atena ascolta le due parti in causa. Tutta la controversia si compendia, in breve, nel dibattito che ora si svolge tra Oreste e le Erinni. Oreste si appella al fatto che Clitennestra ha commesso un doppio delitto, uccidendo ad un tempo colui che era marito di lei e padre di lui. Perché allora le Erinni perseguitavano lui, e non lei che era molto più colpevole? La risposta è convincente:

«Ella non aveva legami di sangue con l’uomo che uccise».

L’uccisione di un uomo non consanguineo, anche se marito dell’assassina, è espiabile e perciò non riguarda le Erinni, il cui ufficio è solo di punire i delitti tra consanguinei, e il matricidio, secondo il diritto matriarcale, è il più grave e inespiabile dei delitti. Apollo si presenta come difensore di Oreste. Atena fa votare gli Areopagiti, scabini del tribunale di Atene; i voti di condanna eguagliano quelli di assoluzione; allora Atena, come presidentessa, vota a favore di Oreste e lo proscioglie. Gli dèi di nuova stirpe, come sono chiamati dalle stesse Erinni, vincono le Erinni e queste alla fine si lasciano indurre ad assumere un nuovo ufficio a servizio del nuovo ordine.

 

È attraverso una diversa disposizione dei figli, di Oreste in particolare, che si attua lo scatto emancipatorio verso la civiltà sociale. Altrettanto essenziale è la consapevolezza ed il consenso femminile al cambiamento verso il nuovo ordine delle cose: la sorella Elettra consente, Atena ratifica e sancisce. Il superamento del matriarcato avviene per atto matricida ad opera dei figli che riscattano se stessi in quanto figli legittimi del padre. Così il patto tra fratelli segna l’esordio delle imprese più fortunate nella storia. Il valore di quest’atto supera ogni sterile contrapposizione sessista tra i ruoli maschile e femminile e pone la questione nella corretta accezione sessuale del debutto dei nuovi soggetti, uomini e donne, come necessaria separazione e opposizione nei riguardi della famiglia di origine.

La dialettica dell’essere non è conflitto di genere, ma di gener-azione; è cioè azione sessuale e non sessista.

Non è contrapposizione tra i sessi nella guerra di parità, sostituzione o di negazione del maschile con il femminile, ma è dialettica del superamento dalla condizione di figli a quella di uomo o donna adulti, il passaggio a questo stato rende obsoleta la funzione dei genitori nella famiglia di origine. Che l’adulto abbia dei genitori non vuole dire che egli resti bambino. È qui che la trinità del matriarcato impone l’inciampo, la ripetizione del tre come imposizione del logos famigliare coincide con il trentatreesimo anno di Cristo (”Dica trentatré!” È il test per sapere se si è sani). Il protrarsi del luogo comune dell’incesto oltre la fase di crescita formativa confonde la differenza sessuale nell'ostilità e nell’impotenza, designa alla sconfitta le potenzialità fisio-affettive dei nuovi soggetti, fino a configurarsi come autolesionismo o distruttività  nei giovani.

Se nel processo umano dello sviluppo l’erotismo è un fatto di genere fisiologico; la differenza sessuale è invece questione che riguarda il rapporto di avvicendamento tra generazioni.

 

 

Abolizione della famiglia! Per un materialismo biologico dialettico

 

La formazione e lo sviluppo della facoltà sessuale è un atto di crescita e di maturazione; non può che essere atto di matricidio come riscatto del corpo rapito nel sequestro alienante del possesso di casa. Dov’è lo scandalo? Il fatto che si nasca da un corpo generante impone la necessità di un riscatto del figlio-oggetto verso la condizione di soggetto: la redenzione o è ideale matricidio o è passione e morte del figlio, comunque del suo progetto di vita.

Il referente di opposizione vero nel processo di maturazione edipica, diversamente da Freud, non è il padre se non nel suo ruolo di cancelliere del dominio domestico: il superamento dell’Edipo è contro la madre!

In questo nuovo corso della storia Caino e Romolo non uccidono il fratello, Edipo non uccide il padre, Crono non evira in Urano il padre ed il fratello, e non mangia i propri figli per negare il tempo! I nuovi soggetti, già formati, aboliscono la famiglia che li piega al protrarsi della dipendenza obbligata.  Ed è straordinario che tale consapevolezza sia stata enunciata con chiarezza nel più conosciuto, e non compreso, dei manifesti[3]:

 

Abolizione della famiglia! Persino i più avanzati fra i radicali si scandalizzano di così ignominiosa intenzione dei comunisti.

 

È anche il caso di notare che non solo il soggetto maschile nel ruolo di figlio subisce il destino di passione e di morte, ma anche la donna interpreta di sovente la trama del personaggio cristiano; la codifica di questa disposizione si riscontra nei luoghi comuni letterari e negli innumerevoli fatti di cronaca: l'innamorata Giulietta, Biancaneve, la Bella Addormentata, e così via fino a Marilyn Monroe e Lady Diana e ancora in altre rappresentazioni dove il paradosso vuole che, per vivere, occorra subire l'insulto di una morte vera o apparente.

La famiglia alienata nella logica del possesso sui corpi distorce in esiti di distruttività il rapporto tra figli e genitori e si impone paradigma economico di ogni sfruttamento sociale. L’antropofagia famigliare è de-generazione che, estesa a sistema di dominio, sequestra il tempo della vita, nega l’incontro con la relazione sociale e l’impatto creativo con l’amore.

L’ideale matricidio[4] oggi è riferito ai comportamenti di opposizione della crisi adolescenziale o alle rivolte generazionali; ben poca cosa in realtà, la crisi è un impulso sano, ma è sempre più anticipata e preventivamente elusa: il motivo è che i soggetti interessati al possesso si sono accorti che la rivolta sessuale diretta contro la figura repressiva del cancelliere (il padre) era in realtà diretta in modo ancor più efficace contro il possesso matriarcale!

Il parricidio, da sempre in auge per incanalare in atti di guerra le pulsioni oppositive al potere centrale, è ormai svelato nella sua realtà di falso obiettivo che lascia irrisolto l’enigma del potere: il dominio della Sfinge sulla carne e sul destino.

Su questa logica che attribuisce la discontinuità del modo di procedere, nel singolare, all’avvicendamento generazionale, si definisce anche la proiezione sociale, su scala plurale: nel divenire ontologico, la dialettica sessuale si rappresenta come lotta di classi! Scontro tra classe padrona e movimenti di sfruttati. È conflitto perenne tra sequestro dei corpi e loro processo di liberazione. È strappo evolutivo tra condizione animale di servaggio e di appartenenza obbligata verso la liberazione e la civiltà sociale.

L’intuizione marxista del ciclo della dialettica storica trova le ragioni del suo materialismo non nella materialità dell’economia (che delinea il terreno di verifica del concreto), ma già prima, nella consistenza protoplasmatica della realtà fisio-affettiva.

Il materialismo è biologico dialettico e si sostanzia nell’irriducibilità della differenza sessuale nell’azione di genere; cioè nell’impulso generazionale di liberazione sessuale verso l’unica proprietà che abbia senso, che abbia valore e che non sia un furto sul soggetto deprivato: la proprietà di genere sessuale.

 

 

Il principio della deriva. Penelope e la vela

 

Ogni rivoluzione è processo di riappropriazione di ruolo, dalla condizione indifferenziata di massa all’affermazione del soggetto collettivo.

Tuttavia l’alternativa alla condizione sempre retriva del matriarcato non è nella complementarietà logica di un patriarcato: non vi è alternanza di ruolo tra maschile e femminile, poiché il padre non può partorire; l’emancipazione dalla semplice condizione animale di mammiferi ad esseri evoluti, pronti ai nuovi compiti del reale, apre alla libera espressione dei corpi e delle emozioni verso una condizione di libertà incentrata sulle relazioni sociali, verso le conseguenze della naturale differenza sessuale non più costretta nell’universo perverso e privato dell’incesto. Il genere umano si evolve in modo naturale, per conoscenza e non per artificio correttivo della scienza; nella spirale del divenire si realizza la pienezza dell’essere, ben oltre il cerchio vizioso dell’anomalia della tara.

L’esistenza o è viaggio o è rinuncia. Ulisse spinto dalla vela (Penelope faceva il bello e il cattivo tempo sulla tela), deriva la propria intelligenza dall'attitudine al distacco e all’emancipazione. Ecco un uso evoluto della placenta umana! La prerogativa del potere avvolgente della madre può chiudere il mondo nel cul de sac dell'intestino cieco, del non-partorito, nel telo-sudario e nel velo di clausura che esclude, a priori, il rapporto con il vero e con l’esterno.

Tela e vela esistono invece come elaborazione della placenta in chiave creativa e liberante da parte di figli già in grado di accedere al soggetto. Penelope nella sua apparente passività di donna, moglie e madre fa davvero il bello e cattivo tempo nel tessere la trama dell’Odissea, solo restando al quadro dei comandi di quella macchina del tempo che è il suo telaio.

In greco antico, telaio e vela coincidono nello stesso significante linguistico: belo. Tela-io e tela sono anche metonimie della membrana (placenta o imene) femminile e del supporto naturale da cui origina la storia di ciascuno. Il vento che sospinge Ulisse in opposte fortune è il destino scandito nella dialettica con l’umore degli dèi, quando questi altro non sono che le proiezioni umane in chiave rappresentazionale delle stesse interazioni fisio-affettive dell’inconscio.

È Penelope che tesse, suo malgrado, l’ordito della storia! Klima-atos (l’inclinazione terrestre) e Clio (la musa della storia) espongono ogni affetto umano agli effetti fisici dell’ambiente nell’interazione di tempo, relazione e destino. Sulla scena della vita la trama è scritta al femminile, ma il raggio della sua ampiezza, la qualità che delinea la profondità psicologica e l’autonomia di ruolo che fa sì che si possa improvvisare una recita a soggetto da parte degli attori (nella scena data) è prerogativa del potere differenziante della sessualità del padre. Così pure la possibilità di accedere a questa verità sul piano della consapevolezza; al contrario, nell’indifferenziato dell’origine l’Io non si struttura se non come fusione nell’appartenenza al d’io.

Nella  narrazione ebraica, Alef, la prima lettera dell’alfabeto, scrive la parola ani che designa l’Io; ma è anche l’inizio del primo comandamento in originale, dove io e dio coincidono nel senso[5]:

 

Io – ani – sono l’Eterno, tuo Dio.

 

Insomma l’io della madre, unitamente alla funzione di identità e appartenenza, diviene  dio per ciascuno, e per l’origine d’io (possesso genitale-genitivo dell’io-madre). È ancora una volta la parola a far emergere, con lo scarto di un’apostrofo, la vera sostanza umana e sessuale di dio[6].

 

 

L'insoluto di Amleto

 

Il mito greco non è matriarcale né monoteista, con lucidità onirica svela quanto e in che modo la deriva nel mondo fondi invece l'invenzione. L’esterno diviene forma sociale, civiltà umana, scambio, disposizione all'arte, fino a divenire narrazione tramandata da un cantore. Al contrario, l’antro del ciclope, come il labirinto, descrivono l'incesto. Se non è gioco risolto allora è mostruosità deforme, crudeltà sanguinaria.

Telemaco, tra tutti i figli, sarà ancora a lungo l’emblema del figlio ideale: con la stoffa della madre e l’ingegno oltre i limiti del padre il suo destino può spaziare sulla migliore ma-p-pa di ogni tempo.

Ancora, a commento della citazione di Engels sul valore del mito di Oreste, si può rilevare come il ruolo del figlio di fronte al parricidio ispirato dalla madre sia, in fondo, anche il tema letterario dell’Amleto. Qui la responsabilità materna è indiretta, ma non meno effettiva,  perché agita attraverso la volontà del cognato che diviene suo consorte; pertanto la modalità in cui si gioca il moto di giustizia da parte di Amleto non può essere la stessa che fu di Oreste: il fantasma che lo motiva è ben appariscente, è invece sottinteso l’intento delittuoso della madre. Inoltre, Amleto è solo.

L’agire del principe resta senza oggetto; confonde Ofelia e ne uccide il padre; finisce poi in tragedia, in una scena senza vincitori, che rilascia solo testimoni cui spetta il difficile compito di interpretare l’implicito messaggio scritto negli eventi. Alfine muore la madre; ma con lei sono condannate la stirpe e tutta la scena. Anche il dramma di Shakespeare ha un intento emancipatorio; tuttavia la situazione è più confusa: c’è del marcio in Danimarca, come in tutta l’Europa cristiana e matriarcale.

Cosa sicura è che l’irrisolto destina alla sciagura.

Merita di essere sottolineata la considerazione a riguardo della centralità che assume il diritto del sangue e il primato della nascita nel diritto matriarcale, in contrapposizione al primato della legge sociale che è del padre. Fino al nazi-fascismo (nascismo) dei nostri giorni non c’è dunque restaurazione matriarcale che non sia basata sul diritto biologico della razza, sul vecchio e nuovo insorgere di schiavitù, imperialismi, di fusioni sovranazionali (come il nascente matriottismo della grande Europa) inevitabilmente sostenuti da patti, più o meno espliciti,  di alleanze militari che cercano verifiche di sangue; tutto ciò in opposizione ad una cultura sociale che tolleri senza riduzioni e senza accorpamenti la dialettica nella convivenza dell’altro, del diverso, delle differenze, delle libere associazioni.

 

 

La vecchia Europa che vuol esser madre

 

L’Europa può avere successo nella sua ricerca di unità politica solo se sarà in grado di affermare il suo progetto confederale come patto tra popoli fratelli: per esempio, sul modello della genesi romana fondata sulla democrazia dei sette colli e sostanziata poi nel Diritto romano come nella stipula dei patti con gli alleati. Lo stesso tipo di alleanza, in proporzione minore, sorregge l’accordo svizzero tra i cantoni o, a livello macroscopico, l’unione tra gli Stati d’America, costituitasi nella lotta contro la vecchia Inghilterra. Questa, a suo tempo, giustiziò il re per affermare il diritto della collegialità borghese. Enfants de la patrie francese ebbero in odio il vecchio regime al punto di de-testare una quantità in serie industriale dei suoi esponenti; e così via. La fase costituente è in ciascun caso fondata su una lotta di emancipazione, ineludibile perché non si dà il nuovo senza scarto dall’origine. Il successo del progetto sociale deriva dal superamento del debito di unità famigliare.

Anche il processo di unificazione dell’Italia ha preso le mosse dalla ricomposizione di una realtà geopolitica di innumerevoli staterelli sparsi nella penisola: Fratelli d’Italia insorti contro i genitori dittatori. Nell’allegoria collodiana Pinocchio è l’Italia che si costituisce contro il dominio degli Stati stranieri e, in special modo, contro il matriarcato imperante della santa sede: il matricidio avvenne a Porta Pia.

In ogni caso, nessun accorpamento sovranazionale può eludere la questione del matricidio simbolico, come dire che non si dà nuova identità che non ne esautori una più antica. Anche la nuova Europa figlia, nel costituirsi, deve uccidere la madre! È impossibile tuttavia che una simile evenienza si realizzi finché sarà attuale l’asse euro-vaticano, ispirato ai princìpi conservatori dell’espansionismo dell’economia tedesca. L’Europa unita è per di più, entità politica astratta, storicamente mai esistita, priva pertanto dell’idealità di un parto, come fu per Porta Pia, o per la rivoluzione francese.

La maieutica della storia dimostra che ogni reale innovazione impone una rivoluzione. La vecchia Europa non può clonare se stessa, rubando la scena al sorgere di un’identità nuova, senza incappare nel concreto della reazione, della guerra e della degenerazione. Si presti fede al genio politico di Shakespeare in merito alle questioni umane: l’irrisolto dell’incesto destina alla sciagura.

Il paradosso di regola vuole che ogni atto creativo presupponga un ideale matricidio. La creazione è innanzitutto superamento della vecchia condizione.

Al contrario il matriarcato rende sterile il naturale processo di ogni creazione. Questa irriducibile verità ci preserva dalla fantasia che lo sviluppo del progetto possa prescindere dalla libertà e dalla ragione: anche per quanto riguarda gli Stati, come nel linguaggio e per gli esseri umani, si tratta di attuare alleanze e libere associazioni! Oggi più che mai, non c’è alternativa alla libertà che non sia il ritorno alla barbarie o la completa distruzione.

La guerra provocata è il più ovvio correlato della  società dell'incesto. Perché rincorrere le fusioni nello schieramento di grandi gruppi quando, per la prima volta nella storia del genere umano, ci sono oggettivamente risorse, ricchezze e autosufficienza per il benessere di tutti e per progettare ogni utopia? Rompere le righe bisognerebbe per avviare un processo di sviluppo virtuoso. Chiamare a correo in questa fase di benessere oggettivo ha l'unico obiettivo di attuare progetti di rapina e di predazione verso i territori più deboli in concorrenza con le corporazioni rivali.

Per il comando matriarcale l’illibertà, la schiavitù del bisogno, le condizioni di necessità sono merci preziose da ricostruire in modo artificiale, anche quando non possono più essere addotte come ostacoli oggettivi al raggiungimento dell’equità sociale. Allo stesso modo è impossibile accumulare grandi ricchezze private (a chi?) senza che vi sia dovizia di povertà e di ignoranza.

Istituzioni totali, razzismo biologico, teologia del sacrificio umano, valorizzazione del capitale sulla base della schiavitù del lavoro salariato, affiliazioni di mafia, queste le forme note ed attuali nelle quali la dittatura del primato sessuale della madre pienamente realizza la sua forma sociale. Il possesso sui corpi diviene conflitto tra fratelli, volge la competizione in concorrenza, istituzionalizza la violenza. Reintroduce la supremazia del sangue sulla legge. Feticismo, merce  e perversione rendono impossibile l’amore.



[1] A. Miller; Op. cit., p. 264.

[2] F. Engels; Op. cit., Ed. Riuniti, Roma, 1993, pp. 39, 40.

[3] K. Marx, F. Engels; Il Manifesto, suppl. a Il Manifesto quot., marzo 1994, p. 44.

[4] C’è invece un matricidio reale, effettivo e dannoso che è quello selvaggio e indiscriminato che ha in odio il pianeta, la natura e gli anziani; la distruttività umana è conseguenza esatta, misurabile della mancata emancipazione.

[5] R. M. Herweg; La yidishe mame, ECIG ed., 1996, Genova, p. 119.

Nel testo è riportata la seguente citazione di Bertha Pappenheim: “Bereshit: questa è la prima parola della Torah (…). E perché la Thauroh [Torah] inizia con la Bet [beta o b]? Per indicare che alla Bet corrisponde Broche [benedizione]. Per questo Dio cominciò con la B. La Alef [alfa o a] allora volò dinanzi a Dio e disse: ‘Comincia con me la Thauroh, perché sono il primo Aus [segno] dello Alefbet [alfabeto]’. Dio rispose: ‘Sul monte Sinai darò i dieci comandamenti; allora comincerò con la Alef”.

[6] In ebraico, l’io non esprime solo l’identità con l’origine creante ma anche con l’essere: il verbo essere non è infatti coniugato al presente, pertanto nell’espressione io sono (ani) il predicato è sotteso e sovrapposto al soggetto.

 

 

 

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