Pedoclastia
Educazione che provoca effetti dannosi attraverso l'utilizzo di etiche affettive e di valori morali palesemente contrari ai principi fondamentali del rispetto e della reciprocità. Seguendo una logica perversa, genitori ed educatori impongono la loro volontà a danno della personalità del bambino, senza riconoscere e rispettare le esigenze di individuazione e sviluppo. Esemplare è l'esigenza di confondere il sentimento di "amore" con l'assurda pretesa del sacrificio, della sofferenza e, addirittura, della morte del figlio.
Video intervista:
http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Search&testo=sergio+martella&tipo=testo |
L'idea
di un rapporto sui danni della dottrina cattolica è recente nella forma di
divulgazione popolare che si intende adottare
[1]
. C’è da chiedersi perché di tanto ritardo che contrasta con l’enorme
varietà di confutazioni filosofiche, letterarie e storiche rivolte contro il
cristianesimo. La risposta è disarmante quanto ovvia: solo l’indagine
psicologica sul valore simbolico del racconto cristiano è in grado di svelare
il senso diseducativo di un messaggio improntato al controllo degli affetti
familiari. La carica suggestiva della religione è infatti la componente
principale della sua efficacia e risiede unicamente nel gioco fisiologico ed
affettivo che si instaura nel rapporto tra generazioni, cioè tra sessualità
e potere, a cominciare dall’evento del parto-creazione. La spiritualità è
una materia squisitamente psicologica che non può essere intaccata altrimenti
sul piano della ragione e della razionalità. Sebbene i principali autori
della ricerca in psicologia e in psicoanalisi siano dichiaratamente estranei
ad ogni adesione fideistica alle religioni, la divulgazione mediatica delle
loro opere ha avuto cura di sminuire e di occultare l’importanza della
premessa di laicità di ogni indagine sulla natura psichica dell’uomo.
Il
potere suggestivo della religione – Quale amore ha bisogno di sacrifici
umani? – “Dio non c'era”: a Norimberga! – Ave Maria di Cogne, i
satanisti e gli effetti quotidiani degli affetti cristiani.
L’attività
clinica dà modo di verificare e raccogliere una serie di connessioni tra
modalità formative che tendono a deprimere l'identità psico-affettiva
nella costituzione evolutiva della persona e le inevitabili conseguenze nella
determinazione del destino individuale e sociale dell'uomo. Il mondo reale è,
infatti, una rappresentazione di ciò che è stato impresso nella fase
costituente dell'Io. La psicologa svizzera Alice Miller, per esempio, ne "La
persecuzione del bambino"
[2]
cerca con ansia di mettere in guardia gli educatori dagli effetti
della pedagogia nera della religione. Ma ogni appello alla razionalità è
utile solo se possiamo educare a riconoscere gli stili formativi che producono
un accumulo di cattiveria, di distruttività e di infelicità nell'uomo.
L'insegnamento
cristiano è falsamente improntato all'amore universale: basta guardare il
simbolo genetico del cristianesimo, il crocifisso e ciò che esso rappresenta,
per capire la componente di ambivalenza sadica e masochista che questo
"amore" veicola nell'inconscio dei bambini. Il sacrificio come
premessa, l'esordio della vita nella colpa, l'inquietante percezione di un uso
distorto dell'autorità del genitore, equiparato a dio, nell'espropriare il
corpo del figlio e nel farne l'oggetto da distruggere per le
proprie incarnazioni mistiche. Infatti, secondo il racconto cristiano: la
trinità familiare si incarna nel ruolo del figlio, il quale viene destinato
al martirio ed al sacrificio per la salvezza dei suoi stessi assassini e dell’umanità.
Quanta
perversione traspare nella semplice formulazione di un tale precetto! Quale
amore ha bisogno di sacrifici umani? Può la salvezza dell'umanità derivare
dalla disgrazia procurata ad un incolpevole? Si tratta di umana perversione,
di cannibalismo affettivo e domestico! Come può accadere che una tale
deviazione della coscienza si affermi in modo così radicale nella cultura
dell'Occidente? Perché l'intellettualità europea, salvo poche eccezioni, per
lo più originate dall'ambiente di cultura ebraica, non sanno rilevare
l'evidenza di una tale incongruità con i precetti fondamentali del rispetto
umano? Perché ci si ostina a ritenere degne di fede false acquisizioni
razionali e a falsificare la storia stessa senza suscitare una
opposizione netta tra coloro che si dicono laici?
Ho
cercato di dare le risposte a questi quesiti in due saggi
[3]
: uno dedicato alla straordinaria metafora anticristiana del
Pinocchio di Collodi, e l’altro alla intuizione di Nietzsche che contrappone
l’eroe nella tradizione del mito greco alla sconfitta del prototipo del
figlio cristiano che finisce in croce o sconfitto nel suo progetto di vita,
come Amleto.
Ora,
con l'estendersi dell'interesse su questi temi, al di fuori della tradizionale
banalità dell'ateismo che cercava di dimostrare la non esistenza materiale di
dio ci si prefigge di registrare i danni della esistenza di dio come categoria
della mente e dell'educazione di massa. Dove era dio, si chiedono in tanti,
mentre in Europa imperversavano i roghi crematori della shoa? Il dio cristiano
e antigiudaico della tradizione era proprio lì, furente per la perdita della
sovranità sul territorio pontificio e per la forzosa liberazione dell’identità
sociale ebraica dai ghetti reclusori. Tormentato per l’estendersi del credo
di laicità nelle masse, che sospettava opera di Ebrei! In apparente distacco
dinanzi alla logica conseguenza dell'odio antigiudaico seminato per secoli e,
anche in quegli anni, sulle pagine dell'organo vaticano, la "Civiltà
Cristiana"
[4]
. Rimase assente solo sui banchi degli imputati a
Norimberga, dove si è negata la verità inconfutabile che gli Ebrei sono
stati perseguitati in quanto tali – Ebrei – da una identità
culturale altra ed egemone: i Cristiani d’Europa, luterani e laterani
alleati per l’occasione (concordati, è la parola giusta)! Mai il cristianesimo ha pagato per le conseguenze
storiche dei suoi insegnamenti ambigui, di un amore sadico, improntato alla
sofferenza come valore e all'infelicità dell'esistenza reale. Oltre la
storia, la cronaca di ogni giorno – da Ave Maria di Cogne, ai giovani
assassini di satana – registra le forme del disagio radicato nelle
istanze della religione che continua impassibile a rivendicare per sé il
diritto all'egemonia sull'etica e sulla morale. E' invece evidente che la
presenza dei valori cristiani (esaltazione della sofferenza, prescrizione del
peccato, liturgia del sangue e istituzione del demonio) è stata
l'unica organizzazione sempre garantita nei luoghi del degrado umano ed
economico, non solo non riuscendo ad apportare modifiche strutturali alle
cause della sofferenza, ma legandosi in modo complementare ed ambivalente con
le dinamiche stesse dell'ingiustizia e dell'ignoranza.
Il primato del sangue – l’enigma irrisolto del parto-creazione – il debito del sangue e della carne del figlio – gino-iconologia dolente nell’arte sacra – padre, figlio e spirito santo madre, unicità e trinità della perversione.
L’affermarsi
del degrado in ambiente umano non è quindi conseguenza della mancanza di quei
valori dello spirito, come si dice da più parti, ma è conseguenza dell’affermarsi
di quei valori egemoni in mancanza di una loro attenuazione ad opera dell’emancipazione
civile e laica.
Al
di là di un auspicabile risveglio della ragione di fronte alle palesi
deformità introdotte dalla religione cristiana, cattolica in particolare,
nelle basilari nozioni di igiene degli affetti e del rispetto umano;
nonostante siano già accertate responsabilità storiche incredibilmente gravi
e altre restino ancora inesplorate, a riprova di un amore immaturo inculcato
nella soggettività dell'Occidente, resta non risolto il nodo centrale della
comprensione profonda di questo fenomeno. Non è sufficiente contrapporre il
darwinismo al conato del creazionismo nelle tendenze regressive del presente.
E' necessario aprire gli armadi di una conoscenza così gravosa da recepire in
termini estesi, da essere rifiutata largamente anche nelle fasce della
popolazione "di fede democratica" in Italia.
DIETRO
LA RELIGIONE E I SUOI DETTAMI DI CRUDELTA' OGGETTIVA NEI RAPPORTI PEDAGOGICI
TRA GENERAZIONI SI LEGITTIMA IL MOTORE STESSO DELL'ALIENAZIONE SESSUALE DELLA
DONNA (quindi dell'intera umanità), LA SUA ESCLUSIONE DA UNA COMPLETA
INDIVIDUAZIONE E RESPONSABILITA' SOCIALE.
La
mistificazione di questo importantissimo tema è tale da riferire l'ambito
delle discussioni unicamente al conflitto tra sessi. Niente di più
sbagliato. Lo studio dell'esegesi analitica del mito, come accade con lo
studio dei sogni e del simbolismo in generale applicato alla letteratura e
all'arte, rivela nel racconto cristiano (eucaristia, spirito santo e pos-sesso
sulla figlia Maria, negazione del ruolo del padre, incarnazione nel corpo dei
figli con le stimmate sessuali femminili del sangue e del dolore) l'estensione
in termini socializzati della psicologia della Grande Madre intesa nel senso
junghiano, in particolare, nell’accezione di Erich Neumann
[5]
. L'alienazione della donna madre, unitamente all'enorme potere
neuro-affettivo che il mistero del parto-creazione le conferisce
(per la natura fisiologica dei mammiferi), connota l'identità dell'Eterna
Fattrice di una attribuzione divina da sempre riconosciuta nelle culture di
ogni epoca, a partire dalle più remote.
La
religione in genere e, in Occidente, il monoteismo cristiano costituiscono
esattamente l'espressione più coerente della psicologia della Grande Madre.
Da qui deriva l'invisibilità e la radicale impunibilità delle istanze, anche
sadiche (ma ammantate di profonda affettività), del cristianesimo. Da qui
l'assoluta incongruenza tra buon senso, ragione e fede. La madre può
sbagliare, essere immatura negli affetti, esigere tributi di sangue a infinito
risarcimento di quello da lei donato nella gestazione e nel parto, e
tuttavia conservare intatta la forza del suo potere che le deriva dall'aver
"pettinato" i neuroni e l'identità affettiva dei nati da lei,
uomini e donne.
La
religione è la rappresentazione socializzata di questo potere. Dalla
natività di un essere destinato al rito di sangue e martirio, al controllo
delle istanze sessuali e di generazione, alle perversioni mistiche del corpo
martoriato ben raffigurate nella gino-iconologia dolente e sanguinosa
dell’arte sacra, la religione non è solo un’istanza del potere politico o
culturale: essa è innanzitutto la realtà di un’alienante e radicata
sofferenza domestica, è un’affezione così profonda
da essere riverita con tenacia anche da chi non si dice praticante e
tuttavia, difende il cristianesimo nella sua essenza.
Per
lo stesso motivo il cristianesimo, subendo scismi e insanabili contraddizioni,
ha resistito ad ogni critica razionale, ad ogni rendiconto di colpa pur
riconosciuta valida e dimostrata. Ma non è più lecito tollerare un uso
anti-umano del potere degli affetti, diretto specialmente contro i bambini e
la loro aspettativa di benessere!
Alla
base di tutto ciò, è una originaria mancanza di generosità, una inveterata
attitudine al possesso, all’esproprio della proprietà sessuale del figlio e
della figlia in quanto causa temuta di emancipazione e di distacco, in piena
autonomia di generazione: si fraintende, con frode, la naturale proprietà di
ruolo che ha la donna di essere madre, con la proprietà materiale sui corpi
dei figli generati e con il bisogno di confonderne in modo suggestivo lo
spirito. A differenza di altre religioni e dell’ebraismo, che propone un
patto tra generazioni attraverso l’attribuzione della legge al padre, la
dottrina del Nuovo Testamento espone e pianifica l’apologia di un puro e
semplice esproprio della vita dei figli (e della loro autonomia sessuale)
sotto il controllo della trinità familiare.
Il codice materno del pos-sesso – origine sessuale del potere – le “cose” di Maria – Don non è Donna – il batacchio e la gonna – l’individia di Demetra – i poveri cristi del ma-sacro rituale.
L’attitudine
al possesso (pos-sesso) è la modalità di dominio esercitata dalla
generazione che detiene il potere attuale. Il potere ha, infatti, una origine
sessuale: c’è un paradosso intrinseco alla natura sessuale dell’umanità
che evidenzia come solo la figlia, in quanto femmina, può divenire più
grande e potente del suo creatore, che è la madre. Unicamente lei, non il
maschio vezzeggiato, può procreare e mettere in mora il ruolo di potere
generazionale della madre! Il sesso della donna, prediletto dalla natura, è
reietto nel confronto con il potere acquisito della madre. L’imposizione
dello ius dello spirito santo sulle “cose” di Maria è l’esemplificazione
del conflitto della madre contro la natura: è perversione. Solo alla luce di
questa premessa si possono comprendere i legami di senso che in varie culture
uniscono riti crudeli contro la giovane donna, quando non è ancora madre;
come l'infibulazione (rito di ingresso della giovane nel clan delle donne
adulte), la cacciata con maledizione e colpa della figlia Eva dalla gratuità
domestica per partorire con dolo e dolore, e, peggiore di tutte, lo
spossessamento del corpo e della sessualità della figlia Maria da parte della
madre spirito-santo, trinità matriarcale che già incorpora, nel sistema
monadico, il padre e il figlio.
Un
approccio neurolinguistico e simbolico - non etimologico
[6]
- rivela in alcune forme lessicali delle lingue neolatine la
natura matriarcale e androgina della chiesa: "Don" è contrazione di
"donna", è anche il suono del batacchio sotto la gonna-campana,
iconologia della madre che in sé trattiene il figlio-fallo, nella fattispecie
il prete; "duomo" è, infatti,
la fusione fonetica di donna-uomo; i frati recano il cordone
ombellicale ancora non reciso alla vita, le suore il velo placentale
segno di possesso della madre. Il divieto all'uso della sessualità sottolinea
la centralità e l'obbedienza all'unico sesso della madre. Nel caso del
racconto dei vangeli, la giovane donna semplicemente viene privata del diritto
di succedere alla madre nel potere di una autonoma procreazione. Non bastano i
cento anni di coma letargico della giovane, dal momento del menarca (la prima
goccia di sangue) fino al risveglio, per placare l’ira della madre-strega.
Il veleno della mela, la maledizione biblica e la cacciata dal mondo domestico
non placano la sete di invidia e di rancore nella matrigna; né la sterilità
procurata alla terra ripaga Demetra dell’insana gelosa nei confronti della
figlia Core che assurge al ruolo di sposa in un altro regno. Né Psiche ha
ancora finito di pagare alle altre donne (sorelle, madre e suocera) il tributo
a causa della sua bellezza e del suo amore per Eros. La figlia é la vittima
prediletta dalla brama del rispecchiamento di ogni madre. L'infelicità che ne
consegue si riverbera nel rapporto con l'uomo, nel masochismo congenito che la
lega al persecutore, nella depressione post partum che sfocia nel figlicidio o
nella sterilità.
Se
il tema del conflitto tra matrigna e figlia viene trattato e risolto nel
mito e nelle fiabe (Cenerentola, la Bella Addormantata, Biancaneve,...),
l'entità unica matriarcale proposta dal modello
cristiano imperversa, invece, nell'illusione di vivere due esistenze in
una: la sua e quella della figlia che le appartiene per diritto di proprietà indivisa
e di invidia (individia). Per compiacere l’insana pretesa
della madre cristitana, Maria non ha sesso (vergine immacolata) e non ha un
amante, che invece la tradizione ebraica conferisce ad Eva, che succede, sia
pure con colpa, alla divinità matrilineare ebraica. Il figlio Cristo, esito
nella giovane e succube Maria di una radicale mancanza di riconoscimento della
proprietà sessuale, prodotto di un tale spossessamento, nato per caso
inopinato (per virtù dello spirito santo e non di una libera scelta), non
può che essere predestinato al rango di un... “povero cristo”! Tale è,
in effetti, la premessa ed il suo destino. Sul suo corpo, reso femminile con
la ferita nel costato (da cui era nata Eva) e dagli attributi di
innocenza, passività ed esclusione, convergono le istanze femminili irrisolte
dell'infelicità e dell'immaturità affettiva. Lo scarico sul corpo mistico
dell'uomo femminilizzato e mestruato da ferite emorragiche (Cristo, Che
Guevara o Padre Pio,...) costituisce il punto di saldatura e di scarico
emotivo delle scorie di violenza frutto della innaturale fusione tra madre e
donna (ma-donna). Si completa così un ciclo di asservimento, sempre a scapito
della giovane e del rinnovo di generazione. Cristo assume una apparente
funzione lenitiva, attraverso la rappresentazione della sua morte nel rituale
del ma-sacro (sacralità materna). Perciò il cerchio mistico dell’incesto
cristiano si alimenta di dolore, perversione, proiezione e controllo.
Furbi et orbi – l’Azienda madre e le azioni delle filiali – le “nostre cose” del mammasantissima – fatti di sangue e affezioni di mafia – omertà dell’educazione – il razzismo sessista nel conflitto di genere.
Guai
a toccare la figura sanguinante, emblema di scarico dell’ingiustizia e dell’infelicità,
avvolta nel sudario della placenta sindone! Il corpo, oggetto di necrofilia,
è pianto nella scena della deposizione dalla madre che lo ha sacrificato a
compenso della propria alienazione; in ugual modo, nei riti dell’antico
matriarcato tramandati da Euripide, la
baccante Agave piange il figlio Penteo da lei stessa smembrato. Si tollera
l'intollerabile pur di non riconoscere il conflitto tra generazioni al
femminile!
Cosa
si può fare per porre rimedio a questa barbarie nella civiltà degli affetti?
Si provi a spiegare alle masse di fedenti (credenti in cattiva fede) e credini
(credenti passivi) – resi sadici o masochisti per benedizione divina, furbi
et orbi – quali istanze innaturali e contrarie alla naturale
emancipazione della sessualità si riproducono nella formazione pedagogica
cristiana. Da tempo combattiamo una battaglia impari contro le istituzioni
alienate dello sfruttamento che conseguentemente e coerentemente con la
disumanità del credo si sono stabilizzate in accordo e reciproco sostegno con
la religione. Non è forse vero che, in economia, ogni Azienda Madre
Controlla e Possiede le Azioni delle sue Filiali? Non è forse vero che il
Nazismo (un primato composito di nascita e nazione,
madre-patria) e il Razzismo fondino le loro ragioni sul diritto di sangue e di
appartenenza forzata, che sono attributi del codice materno?
[7]
E i misfatti sanguinosi delle “nostre cose”, nella tragica
epopea di “cosa nostra”, non sono forse ascrivibili ad una affiliazione
intorno al corpo centrale del “mammasantissima”, nelle famiglie di mafia?
Non è semplice accettare di capire fino a che punto si estendono le
implicazioni di una sub-cultura matriarcale degli affetti, che è al tempo
stesso potente, disumana e incontrollata. Essa confonde uomini e donne in una
esistenza crudele ed alienata.
Molto
si può fare nel senso di una presa di coscienza. La pratica professionale di
terapeuta dimostra che le connessioni analitiche e culturali, difficili da
spiegare in termini scientifici, diventano di colpo comprensibili nella
valutazione clinica della storia personale di ciascuno. Di fronte al personale
libro della vita e degli affetti familiari, ossia dinanzi al codice di
relazioni che hanno determinato la nostra vita, risulta logico e facile
distinguere la causa dall'effetto che governa la percezione di felicità o
l'impotenza dolorosa del fallimento nel progetto di vita. I risultati si
possono apprezzare in termini clinici. Ma ovviamente ciò non basta. Occorre
mettere in atto strategie di recupero e di consapevolezza in larghi strati
della popolazione. Sempre Alice Miller dimostra la ineluttabile relazione tra
formazione affettiva e qualità della vita. Tuttavia, in Italia, non una sola
ora di educazione alle ragioni della laicità è stata organizzata nei
programmi scolastici nazionali!
Una
volta individuato il fenomeno, non spetta alla psicoanalisi fornire le
risposte di un problema reale che riguarda invece la coscienza civile e
sociale. Lo Stato italiano è nato su criteri di latinità pre-cristiana, la
scienza (Giordano Bruno, Galilei,...) si è costituita intorno ad un nucleo
anticristiano, il Rinascimento è stato possibile solo grazie alla riscoperta
dei classici greci, l'antifascismo e la liberazione non ha visto il vaticano
attivo contro i regimi, bensì schierato dall'altra parte, intento a redigere
la propria legittimazione nei concordati con Hitler e Mussolini, ai quali
garantiva consenso e sostegno nell’ascesa. Il meglio prodotto in Italia
(compresa l'arte sacra, che non era certo realizzata da stinchi di santo) è
stato ispirato da una visione laica e democratica della vita e del corpo.
Proporre la necessaria questione della emarginazione del cristianesimo nel
novero delle opzioni del privato incontra oggi una resistenza fortissima. In
tutti i settori. Nella migliore delle ipotesi si tende a sminuire il problema
e a lasciare intatte le contraddizioni.
Nonostante
i giusti propositi, il movimento femminista contribuisce in parte a ritardare
la comprensione del fenomeno: radicalizzando inutilmente il conflitto tra i
sessi; operando nel senso della rimozione, della censura o della reticenza
sulla vera natura del conflitto sessuale, che non è tra generi, ma tra
generazioni, tra madre e figlia, in particolare. Alcune posizioni
politiche e sociali del femminismo istituzionale partono da una analisi
incompleta delle cause dell’alienazione femminile preferendo, scaricare le
“colpe” su un inveterato vizio del mondo maschile e non individuando i
passaggi di una imperfetta differenziazione dall’origine. Il paradosso
sfocia allora nel grottesco quando ai privilegi di fatto del ruolo femminile
non corrispondono le forme del dominio sociale: le donne non votano le donne
nei centri direzionali e politici, si pretende allora di aggirare l’irrisolto
dell’autostima femminile imponendo quote di legge obbligatorie (come se l’universo
femminile fosse in via di estinzione e non maggioritario). Un altro esempio
sconcertante: la maternità avviene oggi per libera scelta, una madre può
legalmente rifiutare un figlio da lei partorito, il principio di
genitorialità è cioè funzione dell’accettazione libera e consapevole
della donna. Lo stesso principio non è invece applicato alla genitorialità
maschile: su richiesta della madre un genitore biologico, che non vuole essere
padre, è obbligato al test del DNA e al mantenimento di un figlio anche se
egli non lo sente come proprio.
L’alienazione
dell’identità sessuale della donna genera a catena una serie di effetti
perversi e disumanizzanti, che si riversano sui meccanismi di equità sociale,
nel deprimere la fertilità e la soddisfazione nelle coppie. Del resto, che
cosa ci si può aspettare dagli effetti di una pedagogia morale che esalta l’immacolata
fecondazione ad opera dello spirito santo? Che scinde schizofrenicamente la
sessualità della figlia nella verginità di Maria e nella vergogna della
meretrice Maddalena? Che relega il ruolo paterno nella sacra famiglia al
pleonasmo di un vecchio rimbambito, simulacro speculare dell’onnipotenza
dello spirito santo (l’Innominato manzoniano) in cui si realizza il
possesso della vecchia madre e strega?
Il simbolico ed il reale – dio è una, nei monoteismi – l’eritrofobia dell’ostia-imene – senza obbligo di fede – o possesso o civiltà.
Non
si pensi che la critica all’apologia
cristiana del controllo sul ruolo sessuale dei figli sia una battaglia di
retroguardia: è raro che si ponga in modo cosciente e radicale la proposta
concreta di rendere visibile al largo pubblico le responsabilità, non solo
storiche, ma formative e causali del cristianesimo. Bisogna comunque agire nel
senso di educare ad una igiene degli affetti.
Il
credo monoteista sta ad indicare un uso improprio della centralità del ruolo
sessuale della madre (anche se incarna corpi maschili) che condiziona il
costituirsi degli eventi del reale. Perfino la storia recente dimostra che la
religione è più efficace della politica nel determinare gli eventi, per
questo è importante che si voglia sapere dei reali contenuti trasmessi. Di
per sé la religiosità sarebbe un fattore umano compatibile con la civiltà,
a patto che vi sia consapevolezza delle istanze veicolate nel racconto di
fede, che poi è prescrizione e istanza morale.
Sarebbe altresì necessario che le rappresentazioni religiose e rituali rimanessero tali, ossia distinte dall'imposizione di un credo che confonde il simbolico con il reale. Per esempio, il fatto di celebrare la festa della nascita a dicembre con il rito dei doni da parte di Babbo Natale non deve imporre la necessità dell'inganno sulla reale esistenza di un personaggio della fantasia come se fosse reale! Una cosa è la naturale progressione che i bambini attuano nel distinguere la fantasia dalla realtà, altra cosa è la pelosa e deleteria attitudine degli adulti di vedere realizzate le proprie istanze di insoddisfazione infantile facendo credere per forza l'esistenza del falso. Forse che non si può giocare o godere di un rito gioioso sapendo che è un rito in quanto tale? Il racconto evangelico evoca i fantasmi di una affettività immatura, distruttiva e colpevole; ma, nell’assumere le istanze del conflitto non le risolve, non si limita a rappresentarle: le istituzionalizza.
Le
religioni monoteiste non sono uguali negli effetti delle istanze da esse
inoculate fin dalla più tenera età. Non sempre è facile riconoscere, nel
confronto, il grado di pericolosità; infatti, concorrono altri fattori nelle
società a influenzare gli effetti del credo. In Occidente la cultura laica e
razionalista ha attenuato enormemente gli effetti in sé deleteri del
cristianesimo (oltre alla secolare reclusione e sterminio degli Ebrei, si
pensi all'analogo scempio attuato nelle Americhe: la crudeltà è un vizio
congenito ai custodi del cristianesimo!). Nel paesi arabi l'islamismo non si
giova di una analoga progressione sociale. L'ebraismo ha invece individuato le
corrette radici del problema proponendosi in termini di patto, di legame (akedà)
tra generazioni: sempre la madre si pone nel ruolo di dio (l'appartenenza
ebraica è matrilineare), ma conferisce il potere della legge terrena (Dio
verso Mosè) al ruolo paterno. L'esatto opposto della regressione cristiana,
che rimanda il padre nella vacuità dei cieli o nel pleonasmo di un vecchio e
sterile sposo. Sostituisce il rito totemico del pene-pane del padre
nella tradizione ebraica con l’eritrofobia dell’ostia-imene che
celebra la reintegrazione della lacerazione del parto-creazione a cui è
destinato il martirio del figlio che restituisce carne e sangue alla madre.
Nell'ebraismo
la madre ideale è colei che è disposta a separarsi dal figlio purché egli
viva (il giudizio di Salomone). Nel cristianesimo la madre è entità globale,
indistinta, inglobante e distruttiva, come la grande madre del clan o gregge
pre-sociale. È la menade crudele e folle che smembra il figlio Penteo e poi
lo piange, come fa Maria sul corpo di Cristo ancora avvolto nella placenta
sindonica
[8]
.
Ogni
religione rimane comunque una opzione implicita della coscienza su temi che
invece sono alla portata della comprensione umana. Meglio sarebbe una civiltà
fondata sulla capacità di rappresentare, senza obbligo di fede, tutte le
istanze dell'animo umano. La tradizione dei Greci in questo è maestra.
E'
necessario in tutti i casi nominare la natura sessuale delle cose.
Personalmente non esito a rischiare attacchi personali o scomuniche di varia
natura, poiché ritengo una battaglia di assoluta civiltà rendere visibili
gli effetti dell'ignoranza e della malafede. Tutti i campi del sapere e della
società sono chiamati ad affermare la civiltà e l’igiene degli affetti. So
per certo che è possibile. Se è prevedibile una reazione con la consueta
violenza già riscontrata nella storia di fronte agli avanzamenti della
coscienza e della società, esiste tuttavia oggi, molto più che in passato,
una minoranza numerica di individui, che è già maggioranza qualitativa nel
distinguere e rendere visibili i fantasmi dell'inconscio retaggio di una
aggressività non risolta. Si tratta di individuare i percorsi di una
emancipazione ulteriore per adeguare la consapevolezza umana allo sviluppo
della tecnologia e all'inedito potere che essa conferisce all'uomo. Le nuove
potenzialità richiedono una dilatazione della coscienza per far sì che ciò
che abbiamo costruito non sia rivolto contro di noi, ma a vantaggio di una
integrazione con la natura, di cui siamo e restiamo una cosciente emanazione.
Sergio
Martella *
* Psicologo Psicoterapeuta -
docente a contratto (dal 1993) presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell'Università di Padova
[1] Un recente studio statistico sui danni sociali correlati alla religiosità:
Gregory
S. Paul, Cross-National Correlations of Quantifiable Societal Health with
Popular Religiosity and Secularism in the Prosperous Democracies,
Journal of Religion & Society, vol. 7 2005.
Una sintesi è al sito: http://moses.creighton.edu/jrs/2005/2005-11.html
[2] Alice Miller, La persecuzione del bambino, Bollati Boringhieri, Torino,1989.
[3] Sergio Martella, Pinocchio eroe anticristiano. Il codice della nascita nei processi di liberazione, Edizioni Sapere, Padova, 2000.
Sergio Martella, Il furore di Nietzsche. La nascita dell'eroe e della differenza sessuale, Cleup, Padova, 2005.
[4] David I. Kertzer, I papi contro gli ebrei. Il ruolo del Vaticano nell'ascesa dell'antisemitismo moderno (titolo originale: The Popes against the Jews, Alfred A. Knopf Inc. 2001), Rizzoli, Milano, 2001.
[5] Erich Neumann, Storia delle origini della coscienza, Astrolabio, Roma, 1978.
[6] Le libere associazioni in senso freudiano non hanno valore etimologico. Si tratta di un corto circuito neuro-affettivo, simile all’ambiguità dell’uso della parola nell’ipnosi (P.N.L. programmazione neuro-linguistica), o similmente all’ideogramma orientale dove significato e significante semantico hanno contorni incerti, ma capaci di coniugare la verità affettiva motivazionale a quella razionale rappresentativa. Si ritrova la medesima “creatività” linguistica nell’arte e nella follia, in particolare nel linguaggio psicotico. In ogni circostanza, tuttavia, il linguaggio dice molto di più di quanto il soggetto “vorrebbe” dire: tra-duce, tra-disce, dice tra le righe il senso profondo del messaggio inconscio, anche quando subisce le correzioni e le censure del Super-io perché destinato a mediare la relazione con l’altro (Lacan).
[7] Jamine Chasseguet Smirgel, L’ideale dell’Io, Cortina Editore, Milano, 1991, pp. 59,60.
[8] Euripide, a cura di Giorgio Ieranò, Baccanti, Appendice, Mondadori, Milano, 2006, p. XXIX-XXXIII.